In Italia, dove questa coltura è molto diffusa, sopratutto in Abruzzo, Toscana, Umbria e Sardegna la tradizione vuole invece che la raccolta avvenga quando i fiori sono ancora chiusi. Vengono recisi delicatamente uno per uno alle prime luci dell’alba, prima che il sole li schiuda, e devono essere lavorati in giornata, separando (rigorosamente a mano) le corolle, gli stami e i pistilli dagli stimmi. Questi filamenti dal colore purpureo vengono posti in un setaccio ad asciugare sopra una brace di legno (i migliori sono il mandorlo e il rovere) fino a quando non perdono l’umidità, mantenendo però il colore e l’elasticità.
Prezioso come l’oro, lo zafferano costa mediamente dai 15.000 ai 30.000 € al kg, un prezzo che trova la sua giustificazione nella resa moto bassa (solo otto chili di stimmi essiccati per ettaro) e in un processo di coltivazione, raccolta e lavorazione interamente manuali. Di sicuro lo zafferano è la spezia del buon umore non per il costo!
La storia di questo fiore, della famiglia delle Iridacee, è molto antica. Era già noto ai Sumeri e agli antichi Egizi e il suo nome comune deriva dall’arabo zaafaran, che a sua volta discende da persiano sahafaran, o più precisamente da asfar, che vuol dire giallo. Il suo nome scientifico, Crocus sativus, deriva invece dal greco krokos. Pare infatti che il fiore abbia avuto la sua origine tra Creta, la Grecia insulare, l’Asia Minore e il Medio Oriente; da qui, attraverso la Persia, giunse in Cina e poi in India, dove lo si trova protagonista di piatti a base di riso e di carne di agnello, di ricette dolci, oltre che fra i principali componenti del Curry. Il lungo viaggio verso occidente portò lo zafferano nell’antica Roma e qui venne usato per colorare vino, salse, piatti di pesce e persino il pane. In Italia questo fiore aveva trovato il suo habitat ideale in Sicilia, ma tra l’VIII e il IX secolo si diffuse anche nel resto della penisola, a partire dalla Calabria, poi in Umbria, Toscana e Abruzzo, mentre fallirono i tentativi di impianti nelle regioni del Nord, perchè troppo piovoso.
Una menzione particolare merita la Sardegna, dove pare che le coltivazioni di zafferano risalgano addirittura al IX secolo a.C. ad opera dei Fenici. In Toscana, più precisamente a San Giminiano questo fiore portò la ricchezza che permise alla cittadina di innalzare torri e palazzi; quello coltivato in Abruzzo era talmente pregiato che Marco Polo lo portò in Oriente per scambiarlo con sete e altre merci pregiate.
Poiché si tratta di una spezia molto preziosa numerosi sono stati (e sono tuttora) i tentativi di adulterazione: la polvere infatti, a differenza degli stimmi, può facilmente essere mescolata con altre parti del fiore, o con lo zafferano selvatico (Crocus vernus), con piante come il cartamo o la curcuma e, naturalmente, con coloranti artificiali. Questi tentativi di contraffazione erano in passato puniti molto duramente, al punto che in Germania nel XV secolo si arrivava addirittura alla morte sul rogo o alla sepoltura da vivi!
Oltre che per il profumo lo zafferano è stato utilizzato anche per il suo colore; ancora oggi in Sardegna con lo zafferano si tinge la seta usata per il copricapo del tradizionale costume della festa. Oltre alle stoffe con lo zafferano venivano colorati vetri, ceramiche e a Creta 3500 anni fa le donne lo utilizzavano anche per preparate unguenti con i quali tingersi le labbra.
Per quanto riguarda l’uso in cucina già nel Medioevo era utilizzato per la carne e nell’Ottocento compariva in un gran numero di pietanze, dalla pasta, ai formaggi, al burro e ai liquori, perchè il giallo era considerato il colore del cibo più buono. Il giallo di questa spezia colora ancora oggi tre delle pietanze tipiche della cucina europea: la bouillabaisse francese, la paella valenciana e il risotto alla milanese.
Come abbiamo detto lo zafferano è molto costoso, ma ne basta davvero poco, e con solo mezzo grammo si può preparare il risotto per quattro persone.
Ma perchè lo zafferano viene chiamato spezia del buon umore? Il suo valore non si ferma solo alla cucina, allo zafferano vengono riconosciute anche proprietà farmacologiche sfruttate già dagli antichi Egizi e che sono state confermate anche dalle più recenti ricerche scientifiche. Questa spezia avrebbe infatti proprietà sedative, espettoranti, stimolanti dell’appetito e della digestione. I Romani lo usavano come rimedio contro la tosse, mentre per i medici della Scuola salernitana “rallegrava lo spirito e confortava il fegato e le membra”. Nel corso dei secoli fu utilizzato come rimedio contro la peste e dispensatore di buon umore, se una persona era allegra si diceva che aveva dormito su un sacco di zafferano. Oggi recenti studi scientifici evidenziano come questa credenza abbia un serio fondamento; molti dei principi attivi contenuti nello zafferano, agiscono infatti sul sistema nervoso regolando il tono dell’umore. Lo zafferano risulta, dunque, un antidepressivo naturale, può essere un valido aiuto in presenza di ansia e stress di cui abbassa i livelli, e può aiutare anche in caso di sbalzi d’umore, per esempio durante la sindrome premestruale. Safrenale e crocina, in particolare, stimolano la produzione di dopamina, noradrenalina e serotonina, neurotrasmettitori che stimolano il buon umore, ecco perchè lo zafferano è detto anche la spezia del buon umore!
Questa ricetta la trovi su Il Folletto Panettiere