C’è un limite di sopportazione oltre il quale il sogno diventa resistenza. Una resistenza amara e difficile. Il sogno non è uno stato nel quale tutto va per forza di cose bene; è una proiezione del cervello in cui la mancanza di controllo, ci abitua all’idea che il fallimento è dietro l’angolo, ma ci suggerisce anche che di fallimento in fallimento si arriva alla vittoria. Il punto è che quando fallisci, quando stai a terra è dura, indubbiamente. Ieri mattina si è spento Luis Sepúlveda, scrittore, giornalista, sceneggiatore, poeta, regista e attivista: io aggiungerei anche amico.
Capita spesso che un lettore senta l’autore o i personaggi di un romanzo come parte della propria vita, dei propri affetti. La Letteratura è anche questo sentire, sapere che oltre ciò che vediamo c’è molto altro, puoi essere amico di Zorba, trovarti insieme a questo eroe silenzioso a salvare una povera gabbianella. Puoi volare insieme a lei, sentirti leggero mentre sei seduto sulla veranda a leggere e magari una leggera brezza ti accarezza il viso.
La vita da rivoluzionario di Sepùlveda
Sepúlveda, rivoluzionario di famiglia, aveva scelto di combattere nella seconda parte della sua vita, di fare una rivoluzione diversa. Siamo abituati alle dirette Facebook dei leader politici dove al massimo le parole diventano insulti, la Letteratura è e resta un presidio di resistenza delle parole e Lucho, come scherzosamente lo chiamavano i familiari, lo aveva intuito da tempo. L’ideale rivoluzionario è stato il centro di tutta la sua vita. Nel Cile degli anni settanta era stato parte della scorta del presidente Allende, destituito dal generale Pinochet che istaurò una dittatura militare. Incarcerato, torturato non ha comunque abbandonato i suoi ideali di lotta contro le ingiustizie, per l’ambiente. Intellettuale vicino a tutti, capace di narrare mirando alla comprensione.
Trasferitosi in Europa aveva soggiornato in Svezia, Germania e Spagna, dove si era ritirato in una località da lui stesso definita marginale. Uomo appartenente ai tanti Sud dimenticati, amava gli ultimi, sapeva che dietro la tristezza, la povertà materiale esiste un mondo bellissimo.
Come dicevo la seconda parte della sua vita aveva scelto una rivoluzione diversa, atipica nell’ottica delle lotte armate, quella delle parole. La politica odierna a tutti i livelli ci ha abituato da un lato alla freddezza degli atti amministrativi, delle leggi incomprensibili e dall’altro alla sovraesposizione mediatica dei leader che in televisione sono incapaci di ammettere che a volte c’è qualcosa che non ha funzionato a causa di una decisione sbagliata. La politica ci abituato ad un sistema per cui tutto deve andare per forza bene. Abbiamo interiorizzato l’idea che esiste una linea, quella del progresso, che va sempre avanti, che deve andare sempre avanti anche se ci sono degli ecosistemi delicati che possono risentire di questo cieco sistema, l’importante è produrre consumo e conseguentemente profitto.
Storia di una Gabbianella e del gatto che le insegnò a volare: il capolavoro di Sepùlveda
La mamma di Fortunata, la gabbianella protagonista di Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, volava nel cielo libera assieme ad altri gabbiani prima di trovarsi impantanata in una pozza di petrolio in mezzo all’oceano, da qui la sua fine. Nel mondo mediatico odierno sarebbero cominciati i rimpalli di responsabilità dove tutti sono colpevoli e nessuno è responsabile. L’origine del Coronavirus, ad esempio, è da ricercarsi nel fatto che la distruzione degli ecosistemi di foreste che hanno all’interno microbi, batteri necessariamente impatta sulla vita degli esseri umani provocando conseguenze disastrose, come affermato dalla stragrande maggioranza degli scienziati.
È questo sistema il colpevole, mentre oggi Trump accusa la Cina di non aver rivelato subito l’entità della crisi, salvo poi orientarsi contro l’OMS la quale avrebbe peccato di servilismo nei confronti della Cina stessa. Non ricorda che all’inizio della crisi sanitaria in Italia, aveva detto che tanto è solo una febbre, perdendo tempo prezioso.
La verità è che siamo tutti colpevoli per le tante vite umane e animali che muoiono a causa dei cambiamenti climatici, delle guerre, della povertà. Il Corona Virus non ha certamente fatto più morti della fame, o dei tumori, ha solo colpito una parte diversa del mondo, l’occidente. Lo ha detto il papa: «ci siamo trovati tutti sulla stessa barca» mentre prima, erroneamente, ritenevamo di viaggiare su una barca diversa.
In questo la Letteratura è rivoluzionaria, ma fa politica perché riguarda la capacità di narrare che c’è qualcosa che non va, ci aiuta a districarci in una realtà che fa a botte con le troppe finzioni del virtuale. Allo stesso modo però ci racconta che un gattone nero, l’ultimo dei possibili approdi ha insegnato a vivere, a volare una povera gabbianella, un miracolo nato dalla tragedia della morte. A quella gabbianella, Fortunata, Zorba ha insegnato che bisogna essere felici e che, per essere felici, non bisogna avere, bisogna invece rallegrarsi dell’acqua, del vento del sole che sorge sempre.
Dagli anni ’80 siamo stati abituati da una classe dirigente, con in testa Tatcher e Regan, che esiste una sola via di salvezza, in quel caso il neoliberismo, e invece la letteratura ci insegna che ci sono invece vie sono tante, ma soprattutto ci insegna che quelle vie sono visibili solo a chi osa, a chi sogna. Tatcher e Regan e i neoliberisti sono stati smentiti definitivamente proprio dalla grave crisi sanitaria ed economica di cui sono visibili chiaramente gli effetti drammatici.
Per questo bisogna dire grazie a chi come Sepúlveda anche dopo le atrocità, il male, ha saputo vedere nell’essere umano un qualcosa che è capace di molto più rispetto a ciò che fa. Nel mondo di oggi aggiungerei che è politico non il grigio burocrate dei piani alti, ma chi in modo rivoluzionario è capace di sognare chi è capace, come lui ha fatto, di amare oltre il tempo (aggiungerei anche oltre i clichè di chi ritiene giusto impedire ad esempio a due uomini o a due donne di amarsi), chi scrive poesie, chi racconta il male e il bene e sa che il sole sorge sempre anche dopo la notte più oscura e difende strenuamente questa idea. È forse necessario per le nostre classi dirigenti, rileggere un po’ le fiabe.
A questo autore che pur non conoscendo ho considerato mio amico, fratello, padre, non so se si è capito sufficientemente, voglio dire grazie. Ho letto in un articolo su Repubblica di oggi che dopo la fine della crisi le sue ceneri saranno disperse nell’Oceano Pacifico, dalla Patagonia, terra al quale è stato sempre legato, per questo non posso dirgli come avrei fatto “la terra ti sia lieve”, ma con lo stesso brivido dolce che ho provato quando lessi per la prima volta la famosa frase «vola solo chi osa farlo», ti dico: “che il mare ti sia lieve” dolce, caro amico rivoluzionario.