Il film
Il film Sfera, diretto da Barry Levinson (il premiato regista di Rain Man, per capirci), è uscito nelle sale cinematografiche nel 1998.
Tratto dall’omonimo libro di Michael Crichton (autore di Jurassic Park e della serie televisiva ER), Sfera è un film particolare che, ai conti della critica e del botteghino, non ha avuto il successo che il cast arruolato avrebbe fatto supporre. Parliamo di Dustin Hoffman, Sharon Stone, Samuel L. Jackson, Liev Schreiber, Queen Latifah e Peter Coyote.
Non certo una novità tra i film del suo genere, si presenta in ogni modo interessante, soprattutto per gli spunti di riflessione che propone.
I personaggi e la trama
Il governo americano recluta, in maniera del tutto segreta, cinque esperti in materie differenti, cinque scienziati: un matematico, una biochimica, un astrofisico e infine uno psicologo, esperto in traumi associati a disastri aerei.
Condotto sul luogo (un punto sperduto nell’Oceano Pacifico) lo psicologo Norman Goodman viene messo alla guida di uno speciale “comitato di accoglienza aliena”, da lui stesso profilato anni prima, attraverso un documento (ufficiale, ma in realtà da lui raffazzonato) redatto al tempo del governo Bush.
Il dottor Goodman (Dustin Hoffman), ha infatti un legame (più o meno intimo) con ciascuno degli altri membri.
Proprio per questo, anni prima, li aveva menzionati nel suo rapporto e di conseguenza sono ora tutti lì radunati.
Il team
Beth (Sharon Stone) è una giovane biochimica, uscita tempo addietro da una dura depressione.
Harry (Samuel L. Jackson) è un matematico, accademico ed ex ragazzo prodigio, dal carattere diretto e molto orgoglioso.
Ted (Liev Schreiber), l’astrofisico, in competizione con Harry, dimostra invece una genuina passione e curiosità per la scienza e per la ricerca, non celando le sue ambizioni.
A coordinare il gruppo c’è infine il Capitano Harold Burnes, col suo fare militaresco.
La missione
Obiettivo della squadra così formata è quello di esplorare una enorme astronave, precipitata e quindi inabissatasi, circa 300 anni prima, nell’oceano Pacifico.
Raggiunto il relitto, si viene presto a sapere che l’astronave non è aliena, bensì americana. Non viene dal passato, ma ha attraversato un gap spazio-temporale, probabilmente risucchiata da un buco nero e, di conseguenza, dal futuro, è stata proiettata indietro nel tempo.
All’interno dell’astronave, i membri della spedizione faranno presto la scoperta di una dorata Sfera, perfetta e affascinante. Meravigliosa allo sguardo, incantevole e incantatrice per chiunque si fermi ad osservarla.
Ma, come lo psicologo si accorge ben presto, la meraviglia dovrà lasciare spazio alla cautela e al timore. Dietro (o meglio “dentro”) a quella forma perfetta, si nasconde un grande pericolo.
https://www.youtube.com/watch?v=aJHmlITVnQY
Simbolismo: il viaggio
Il film è organizzato per “unità” e ciascuna ha il suo titolo, che riassume in breve ciò che sta per avere luogo.
Proprio grazie ai titoli, siamo guidati più consapevolmente in questo viaggio, dal forte valore simbolico.
Il viaggio è sempre stato metafora di percorsi, che fossero essi rivolti all’esterno, verso la conoscenza del mondo o all’interno, verso la conoscenza del sè. La direzione stessa in cui si va, quindi, ci dà importanti informazioni sulle implicazioni associate al viaggio che si sta per intraprendere.
La direzione del viaggio
Un viaggio verso l’alto, un’ascesa, sta a simboleggiare un percorso verso la purificazione, verso la conoscenza o verso il divino. Emblematico il viaggio di Dante nella sua Divina Commedia.
Un viaggio che abbia per direzione quella opposta, simboleggia invece un tuffo nell’inconscio. Lewis Carroll, con la sua Alice nel Paese delle Meraviglie, si muove nel sommerso, nel mondo dei sogni e dell’inconscio. Nel mondo in cui le leggi della fisica si rovesciano ed è il mondo profondo a prendere il sopravvento.
C’è poi, in ultima istanza, un viaggio in orizzontale, che si muove attraverso le esperienze. Esso simboleggia la liminalità. Consiste nell’oltrepassare confini o frontiere e nella scelta di oltrepassare tali confini si trova quindi la crescita. E’ questo il caso del film di Miyazaki “La città incantata“.
Nel caso del film Sfera, il viaggio è inequivocabilmente verso il basso.
Viaggio nell’abisso
Dalla superficie, il team di esperti scende nell’abisso.
E l’abisso è descritto come un luogo freddo, buio, con poca vita e molta pressione. Regno di mostri. Metafora del profondo dell’animo umano.
Un luogo buio, nascosto, spesso inesplorato e ostile. Una situazione al limite della sopportazione e da cui non si può risalire in modo rapido e privo di conseguenze.
Serve un periodo di decompressione.
Un viaggio che sta metaforicamente a indicare le difficoltà dell’esplorazione profonda degli angoli più bui del proprio essere, fatti di istinti (spesso negati e mai affiorati in superficie) e paure.
La Sfera
Questa discesa fisica è insita e ben rappresentata e contenuta nel potere della Sfera. Questo strano dono proveniente da chissà dove, questo ritrovamento ha un grande potere, messo al servizio di chi la penetri.
La Sfera può rendere reale tutto ciò che viene immaginato.
Una metafora delle innumerevoli e inesplorate potenzialità del cervello umano e della sua psiche.
Ma l’uomo non sempre si mostra capace di governare un così potente strumento, di valorizzare e sfruttare un dono così generoso.
A tramutarsi in realtà saranno infatti le paure ancestrali, quelle recondite e gli istinti peggiori. Il mostro, che all’inizio sembrava essere una minaccia esterna, era in realtà frutto dell’irrisolto più profondo dell’animo umano. Capace di venire a galla nei momenti di minor controllo razionale, quindi soprattutto nel sonno, a Super-io dormiente. Capace di paralizzare, di generare illusioni e persino di uccidere.
Conclusioni
Insomma, in fin dei conti, un film di fantascienza di questo genere offre numerosi spunti di riflessione sulle potenzialità di doni, di origine sconosciuta, e sulle possibili drammatiche conseguenze di un loro uso inconsapevole, qualora non si riesca ad essere padroni di se stessi e quindi consapevoli del proprio abisso.
In fin dei conti, è l’utilizzo che se ne fa che può trasformare un grande dono in una condanna.