L’ultimo caravaggio, il “Martirio di Sant’Orsola”

Il rissoso Merisi, come Galilei, costringe ad aprire gli occhi sul vero, su un’umanità materiale che odora di sangue e di saliva. Per questo affascina, sconvolge, converte.
– Vittorio Sgarbi

Il “Martirio di Sant’Orsola” fu dipinto da Caravaggio nel 1610. Probabilmente una delle ultime composizioni dell’artista, la tavola è conservata nello storico Palazzo Zevallos situato nel cuore di Napoli.

 

La vicenda agiografica

Fulcro centrale della scena è Sant’Orsola.

Probabilmente vissuta tra il IV e il V secolo d.C., Orsola, o Ursula, era figlia di un re di Britannia. Per scongiurare una guerra, ella fu costretta a sposare un re pagano, Aetherius. Secondo la leggenda, la martire, sollecitata da un angelo in sogno, rimandò il matrimonio per tre anni, con la speranza che il futuro marito potesse convertirsi al cristianesimo. Dopo il matrimonio, Orsola e undici nobili fanciulle percorsero la Manica via mare, giungendo nel continente europeo. Nel loro peregrinare, le nobili raggiunsero la città tedesca Colonia, dove fondarono una comunità.
La leggenda vuole che il re unno Attila, dopo aver invaso la città durante il periodo delle invasioni barbariche, avesse devastato con le sue truppe la nascente comunità. Mentre le nobili fanciulle furono trucidate dall’esercito unno, Orsola, per la sua bellezza straordinaria, in un primo momento, venne risparmiata. Successivamente, dopo aver rifiutato di sposare Attila, la fanciulla venne fatta trafiggere da una freccia.

Caravaggio ha scelto di rappresentare sulla tela proprio l’istante in cui la martire rifiutò di concedersi al sovrano.

 

“Martirio di sant’Orsola”, Michelangelo Merisi da Caravaggio, 1610, 140,5 x 170,5 cm, Palazzo Zevallos, Napoli

 

Il realismo dei personaggi

La tela è caratterizzata da un crudo realismo, quest’ultimo tratto fondamentale di tutta la produzione caravaggesca. L’artista sceglie di rappresentare nuovi soggetti, coinvolti emotivamente nella rappresentazione scenica. La tela diviene quindi teatro delle emozioni umane.

Osservando la scena si può notare come Sant’Orsola sia circondata, con un abile gioco chiaroscurale, da altri personaggi.
L’uomo in primo piano sulla sinistra è Attila. Egli, dall’espressione fortemente umanizzata, lontana dalla austerità dell’arte classica, sembra quasi incredulo, pentito di aver compiuto un’azione alimentata dall’ira e dall’istinto.
Gli uomini sullo sfondo, nascosti dall’ombra, sono dei barbari al servizio di Attila. Essi, come il loro sovrano, indossano abiti appartenenti all’epoca contemporanea all’artista.
I barbari sono rappresentati nell’intento di sorreggere la donna, gravemente ferita dalla freccia appena scoccata. Molto probabilmente, l’uomo con la bocca aperta alle spalle della Santa avrebbe le fattezze dello stesso Caravaggio, il quale era solito ritrarsi come comparsa in molte delle sue opere.
In primissimo piano, Sant’Orsola occupa la parte destra della tela. Contrariamente all’espressione interrogativa rappresentata sul suo viso, i movimenti della figura non accennano a nessun tipo di dolore o sofferenza. La martire, leggermente piegata in avanti per osservare meglio la ferita provocata dalla freccia, appare rassegnata al proprio destino. La sua carnagione così chiara, alluderebbe poi all’imminente morte.

L’ambientazione

Nonostante la tela sia estremamente buia, si possono intravedere nell’oscurità dello sfondo dei tendaggi scuri. La scena è probabilmente ambientata nella tenda del re degli Unni.

 

Caravaggio, maestro della luce

Nell’opera, alla luce viene assegnato un ruolo da protagonista. Essa, proveniente dall’esterno della scena, illumina non solo la martire, ma anche parte dell’armatura di uno dei barbari. La luce conferisce alla scena una certa sacralità, tale da far apparire Sant’Orsola protetta da una presenza divina.

 

 

 

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