Voi siete in prigione e tutto ciò che potete desiderare, se avete del buon senso, è di evadere. Nessuno può fuggire dalla prigione senza l’aiuto di coloro che sono già fuggiti.
Georges Ivanovič Gurdjieff.
Cos’è la prigione della mente? Perché siamo schiavi del sistema sociale? Come mai l’ego ci mette in prigione? Perché finiamo per fare ciò che è giusto per altri?
Ci sono vari motivi per cui la gente non si pone questa tipologia di domande… Vari filosofi, poeti, politici, mistici e psico-analisti hanno dedicato la loro vita, per cercare una spiegazione al velo che separa la realtà dall’apparenza (finzione e/o illusione).
Platone affermava: “Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce“.
La prigione
Secondo vari filosofi siamo tutti in prigione, solo che non lo sappiamo – la prigione va contestualizzata in vari ambiti, essi spaziano dal nostro corpo fino ai condizionamenti sociali.
La prigione è un posto che ci rende schiavi delle regole/schemi che vigono al proprio interno.
Le regole della prigione
Già ai suoi tempi, Platone ha cercato di dire che la gente era prigioniera delle convinzioni che la società imponeva.
La prigione non è unica, ce ne sono molteplici, tra esse troviamo:
- il sistema sociale: dove finiamo inevitabilmente per “comportarci” come la massa – ci mettiamo in ridicolo per esilarare le persone, ci mostriamo per ciò che non siamo, ecc … – ma così non facciamo altro che alienare e disconoscere la parte più autentica di noi;
- il lavoro (o l’università): dove siamo spinti ogni giorno a produrre e/o studiare senza freni (con l’acqua alla gola), e bisogna andare sempre più veloci, perché oggi dicono che “non sono più i pesci più grandi a mangiare i più piccoli, ma sono i pesci più veloci a superare i più lenti“. Da un momento all’altro si potrebbe perdere il lavoro, oppure non passare esami, e abbiamo paura perché vediamo (ci mostrano) esse come qualcosa più grande di noi;
- la famiglia: condizionati da quello che che vediamo e sentiamo ogni giorno in casa, siamo influenzati dal tipo di mentalità – tradizionalista, progressista, ecc… – infatti sono diffusi i casi dove la famiglia non condivide le scelte della propria prole;
- la religione (o confessione): non si conosce il perché si nasca in un posto invece di un altro, ma finiamo per aderire implicitamente alla vita religiosa senza la nostra scelta motivata.
- la relazione sentimentale: dove crediamo che il maschio e la femmina debbano adempiere a quello che la società detta, perché altrimenti non sarebbe una vera “coppia” agli occhi di essa;
- l’ego: diventiamo bugiardi nei nostri confronti, raccontandoci delle dicerie a cui crediamo.
L’evasione
Il problema più grosso è capire di essere in prigione, “vedere” le catene che ci tengono legati – se non siamo noi i primi a porci domande fuori dagli schemi, è difficile credere a chi prova a crearci una via d’uscita.
Metaforicamente parlando, il mito della caverna di Platone interpreta alla perfezione ogni tipo di prigione:
Possiamo prendere per analogia i prigionieri, nati e vissuti lì, come le persone che si identificano in/con qualcosa e che sono convinti di ciò che vedono e di ciò che stanno facendo – inconsapevoli dei vari “veli” con cui filtrano le informazioni che la loro mente ricava.
Nel momento in cui il prigioniero che si libera è fuori dalla caverna, la luce – per analogia sarà la consapevolezza associata alla realtà dei fatti – lo abbaglierà, tanto che la sua retina farà fatica ad adattarsi – la consapevolezza lo illuminerà, ma sarà difficile accettare la verità.
Dopo tornerà dai compagni, proverà a dir loro che le ombre nella caverna non corrispondono al mondo reale, e che sono solo un’immagine artefatta di quello che vedono, ma fallirà miseramente nella sua impresa, purtroppo chi ha vissuto lì per tutta la vita, difficilmente gli crederà…
…ad oggi c’è paura di sapere che il mondo in cui viviamo è fatto di carta, e che uno strappo nel cielo di carta potrebbe farci soffrire e farci perdere tutte le nostre certezze e convinzioni.