“La mia sera” è un’opera composta da Giovanni Pascoli nel 1900. Il tema di questa lirica è riconducibile alla vita dell’autore. In seguito ad una giornata tempestosa, la sera sopraggiunge portando con sè quiete, gioia e serenità. Arrivata questa serenità, l’autore percepisce il dolore del proprio passato in una nuova condizione, fatta di tranquillità. Da come si può desumere dal titolo dell’opera la sera è di Pascoli, dunque è la sua vita che gli consente di abbandonarsi alla morte. Il suono delle campane presenta una funzione duplice, poichè esso prepara il ricongiungimento dell’autore con la madre e con l’infanzia, e, successivamente, lo conduce nel sonno eterno. “La mia sera” è caratterizzata da una scissione tra passato e presente resa evidente già dal primo verso in cui dopo il verbo fu vi è il punto e virgola che indica la fine della tempesta. La pace della sera è percepibile nel gracidio delle rane, dai vari suoni che sono resi armonici dall’allitterazione della e e della r, dalla brezza leggera che muove le foglie e così via. Anche la natura non dimentica il suo passato e ora che la tempesta è terminata, il suo dolce singulto esprime ancora un leggero senso di agitazione. Ma questo non è l’unico riferimento autobiografico perchè ce ne sono altri: nella terza strofa, Giovanni Pascoli espone la propria stanchezza, e cerca di rifugiarsi nella sera. Nella penultima strofa, la vita dell’autore viene associata a quella dell’assenza di cibo delle rondini, perchè, come queste ultime non hanno avuto il cibo, anche l’autore non ha avuto la felicità che gli spettava. Nell’ultima strofa, invece, è possibile trovare la presenza di un fonosimbolismo: il suono delle campane conduce l’autore sia verso l’infanzia, ma anche verso la morte, quindi esso oltre ad essere un ricordo dell’infanzia, diventa anche un suono di morte.