cosciènza s. f. [dal lat. conscientia, der. di conscire ‘esser consapevole’]. – 1. a. Consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori: c. di sé, autocoscienza; contenuti di c., l’insieme dei dati presenti nella coscienza b. La facoltà immediata di avvertire, comprendere, valutare i fatti che si verificano nella sfera dell’esperienza individuale o si prospettano in un futuro più o meno vicino.
– Treccani
Cos’è la coscienza? Quando un essere diventa cosciente? Si tratta di un’entità antica quanto l’uomo, o forse, ancora di più. Difatti, il carattere ontologico e la genesi della coscienza sono stati ampiamente discussi tra intellettuali di ogni epoca. ‘Conosci te stesso’, fin dai tempi dell’ordine impartito dall’oracolo di Delfi, l’uomo ha tentato di soddisfare questo imperativo. Un quesito di sua natura filosofico si trasforma in oggetto di studio di ogni ramo del sapere, dalla biologia alla psicologia alla letteratura.
La coscienza delle piante
Charles Darwin, pur avendo avuto molta fortuna con la sua Origine, raramente è stato presentato come botanico, eppure lui stesso ha riconosciuto il valore delle piante nella gerarchia degli esseri viventi, dunque, li studiò. Non era solo interessato al ‘che cosa?’, ma anche al ‘come’ e al ‘perché’ della struttura e del comportamento dei vegetali. Egli interrogò le orchidee, interrogò i fiori come nessuno ebbe mai fatto prima. Difatti, durante il suo studio sulla fecondazione incrociata del regno vegetale, Darwin dimostrò che buona parte dei meccanismi e adattamenti grazie ai quali le piante sopravvivono, prevedevano organi di senso e abilità motorie simili a quelle animali. Analogamente, molto tempo dopo, negli anni 60, Cleve Backster, attraverso l’uso del poligrafo, elaborò la sua teoria della percezione primaria. Dai suoi studi sulle reti neurali di comunicazione delle piante, emerge una vera connessione tra le piante, che si aiutano e si tutelano a vicenda mandando messaggi alle altre piante in caso di un’ eventuale minaccia o pericolo. Che sia questa una manifestazione di coscienza?
La coscienza per i filosofi
In filosofia, il termine coscienza ha subito controverse variazioni ed interpretazioni. Alcune delle più celebri sono rappresentate dagli studi cartesiani, kantiani ed heideggeriani.
Cartesio
Per Cartesio, l’essere implica necessariamente il pensare, implica una coscienza: “Penso quindi sono”. A sua volta, il pensare implica il sapere di pensare. La certezza della coscienza è l’unico dato della realtà indubitabile ed innegabile che l’uomo possiede. Tutto il resto è dubitabile e ognuno di noi è soggetto a errore nella propria interpretazione della realtà, ma l’intuizione della certezza della propria esistenza consente di individuare il primo criterio della verità. Empiristi come Locke e Hume condividono la visione di Cartesio con un carattere più soggettivistico: noi non possediamo la conoscenza degli oggetti ma l’idea degli oggetti stessi.
Kant
Kant propone due differenti accezioni di io: l’io come coscienza, ed è chiamato anche io soggettivo o empirico ed esso consiste nell’io come consapevolezza delle nostre percezioni. Poi c’è l’io penso, la cui rappresentazione non scaturisce dalla sensibilità, ma dall’attività spontanea dell’intelletto. Kant afferma che l’io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni, perché altrimenti non sarebbe possibile l’esperienza. È proprio l’io penso che ci permette di avere l’esperienza del mondo, formulando giudizi oggettivi validi per tutti. Si tratta dell’attività di unificazione delle rappresentazioni date dai sensi, comprendendo la loro molteplicità in un’unità: il flusso percettivo assume una forma coerente. l’io penso è il legislatore della natura perché è il principio in base al quale la nostra esperienza può assumere un ordine. La conoscenza, basata sull’io penso, è universale.
Heidegger
Secondo Heidegger l’esistenza è un essere-nel-mondo: il mondo, propriamente parlando, esiste solo nella misura in cui è costituito dalla coscienza. Quest’ultima si crea il mondo, il quale esiste solo se ci sono coscienze che si relazionano a qualcosa. Conoscere una cosa significa, dunque, usarla, instaurando con essa un rapporto teoretico. In questa maniera, l’esser-ci è essere-nel-mondo.
La coscienza (e l’inconscio) nella psicoanalisi
Nella complessa concezione della vita psichica elaborata da Freud, la coscienza non gode di alcuna posizione privilegiata, è soltanto un’istanza tra le altre: l’essere cosciente viene ridotto solo ad una possibilità dello psichismo. E’ forte il contrasto con la tradizione filosofica che fa della coscienza il centro della vita spirituale dell’uomo. Di qui la polemica di Freud con i filosofi, difatti, nel settimo capitolo de ‘L’interpretazione dei sogni’, Freud nota che anche quando hanno parlato di inconscio, lo hanno inteso in un modo del tutto diverso da come lo concepisce la psicoanalisi. Per Freud, la coscienza acquisisce un ruolo preciso solo in relazione all’inconscio, che costituisce il fondamento della psiche.