Edgar P. Jacobs
Per riallacciarmi al discorso dell’articolo introduttivo, tra coloro che per primi si approcciarono alla BéDé con non meno rigore e serietà di quello che avrebbero infuso nella lavorazione d’un romanzo, vi fu il belga Edgar Pierre Jacobs. Curioso personaggio, approdato al mondo dei comics in età già piuttosto avanzata, dopo un passato da baritono d’Opéra, e su cui spero avremo modo di ritornare più volte.
Dopo il superbo albo La trappola diabolica (Le piège diabolique, 1960), deluso dalle vicende editoriali subite da quest’opera (che prometto di approfondire prossimamente), egli diede vita a Il caso del collier (L’affaire du collier, 1965), infondendovi però volontariamente minori impegno e precisione, pur partorendo una storia assai godibile. Ma smaltita la delusione per La trappola diabolica, Jacobs si mise al lavoro, con rinnovati interesse e volontà, su quello che sarebbe stato purtroppo il suo ultimo albo nonché (a giudizio di chi scrive) uno dei migliori in assoluto che abbia partorito: Le 3 formule del Professor Sato (Les 3 formules du Professeur Sato, 1971/1972).
Vicenda editoriale
È molto interessante, a mio parere, approfondire il metodo di lavoro di Jacobs: ed in particolare per questo albo è possibile trovare una serie di aneddoti molto gustosi. Molto interessanti anche le complesse vicende editoriali che riguardano la pubblicazione di questa biologia. Difatti l’episodio Le 3 formule del Professor Sato è composto da due volumi: il primo, intitolato Mortimer a Tokyo (Mortimer à Tokyo) ed interamente realizzato da Jacobs, venne pubblicato inizialmente a puntate su Le Journal de Tintin tra il 1971 e il 1972. Il secondo volume, Mortimer contro Mortimer (Mortimer contre Mortimer), non fu mai portato a termine dal Maestro di Bois des Pauvres, proprio a causa delle complesse vicende più su accennate. Ma ne lasciò un dettagliato storyboard, che venne finalizzato per la pubblicazione dopo la sua morte, dalle matite di Bob de Moor.
Da molti esegeti dell’opera di Jacobs, l’albo è ritenuto anomalo nel corpus jacobsiano, in quanto si discosta dal modello della ligne claire (linea chiara), che aveva seguito fin ad allora (in verità, allontanandosene progressivamente). La ligne claire è lo stile che contraddistinse gran parte della produzione fumettistica franco-belga dei primi anni del dopoguerra, e che adottarono molti degli autori che orbitavano intorno a Tintin, allora il più importante periodico a fumetti francofono. I due maestri indiscussi di questo stile furono il sommo Hergé (il papà di Tintin)ed Edgar P. Jacobs.
In questo clima di “eccezionalità” dell’albo, dovuta come abbiamo visto a vari fattori (essere l’ultimo completamente di Jacobs, stile grafico, vicende editoriali ecc.), si pone di meno l’accento sulla storia in sé. Ed è un peccato, perché si tratta di una gran bella storia. Sebbene, ripeto, alcuni tentano a svalutarla rispetto alle antecedenti della serie.
Le 3 formule del Professor Sato
Nell’incipit si entra subito nel vivo, rinvenendo uno degli elementi fantastici tipicamente jacobsiani: ovvero un ryu (un drago volante tipico del folklore nipponico) che compare nei radar dell’aeroporto di Tokyo proprio come un U.F.O.. In un sol colpo, insomma, siamo catapultati nel vivo della storia: Giappone, con tanto di sapore locale; azione, grazie al subitaneo intervento di una pattuglia di controllo che si scontra con il ryu; mistero, poiché non sappiamo cosa significhi la presenza di questo animale fantastico. Infatti, uno degli elementi della poetica jacobsiana, è proprio la sua capacità di amalgamare nuclei fantascientifici con un involucro estremamente realistico (si pensi che interruppe la pubblicazione per un lungo periodo di tempo, in attesa di documentazione sull’aspetto delle pattumiere giapponesi): ciò porta a risultati di mimesis assolutamente degni di nota (un altro esempio di altissimi risultati in tal senso, è Il marchio giallo, Le Marque Jaune, 1953).
Spy stories
Poco dopo, entra in scena il nostro eroe, ovvero il Professor Philip Mortimer e – prima ancora del termine della prima tavola in cui compare – come nella miglior tradizione delle spy stories, già si trova minacciato da un losco figuro che lo minaccia con un revolver alla schiena. E da quel momento, non ci si ferma davvero più. A proposito di spy stories, mi sembra interessante rilevare che pochi anni prima vide la luce un’altra godibile storia di spionaggio che ha luogo in Giappone: ovvero Agente 007 – Si vive solo due volte (You Only Live Twice, Lewis Gilbert, 1967). Non ho idea se Jacobs fosse un fan della saga di 007, ma io credo di sì, e mi sembra possibile che questo film possa aver colpito il suo immaginario ed averlo ispirato nel concepire la sua ultima avventura.
Tra Teatro Kabuki, incidenti aerei, e autostop notturni, il Nostro arriva finalmente a cospetto del Professor Sato che dà il titolo all’episodio. Qui la componente fantascientifica entra nel vivo: veniamo a sapere che il ryu visto all’inizio è opera sua, e nel suo laboratorio segreto (versione del 20° secolo degli antri stregati dei romanzi medievali) Jacobs disseta la nostra sete di meraviglia con una serie di trovate verosimili ma futuristiche, e anche con dei virtuosismi grafici di altissimo livello.
Un finale promettente
L’apice viene toccato sul finale con l’entrata in scena dell’eterno nemico di Blake e Mortimer, il Colonnello Olrik, che concepisce un piano davvero diabolico. Non voglio togliere ai lettori il piacere della sorpresa, ma l’hype che lascia la conclusione di questo primo volume vi assicuro che spinge ad andare ad aprire immediatamente il secondo. Si prefigurava ai lettori dell’epoca, infatti, la possibilità di vedere un inedito scontro tra il Professor Mortimer e il suo compagno di avventure, il Capitano Francis Blake, che in questa prima puntata viene nominato più volte, senza però comparire direttamente.
Il testamento di William S.
Peccato che i lettori dell’epoca abbiano dovuto aspettare ben 18 anni per poter leggere la prosecuzione dell’avventura. Voi invece, se questo breve articolo vi ha incuriosito, potrete leggere entrambi i tomi tutti d’un fiato! Così come potete trovare senza difficoltà tutti gli albi che compongono la serie delle Avventure di Blake e Mortimer, che da quel 1990 ha trovato continuazione grazie a una squadra di autori molto bravi e che non tradiscono lo spirito originale jacobsiano, con episodi riusciti o anche molto riusciti. Posso solo lamentare che, in alcuni casi, lo spirito jacobsiano sembra più di facciata, e non riesce a toccare le stesse corde del creatore della serie. Ad esempio l’ultimo albo da me letto (ed uno degli ultimissimi usciti), Il testamento di William S. (Le Testament de William S., Yves Sante e André Juillard, 2016), pur essendo ben orchestrato, e contenendo su carta tutti gli elementi di un tipico albo jacobsiano, mi è sembrato un po’ privo di anima e di mordente, riducendosi poi a conti fatti ad una semplice e non originale caccia al tesoro. Mi auguro comunque che questi straordinari personaggi trovino ancora molte e sempre più avvincenti avventure da vivere, nel loro (spero ancora lungo) futuro!