Luca Giordano, Il ratto delle Sabine (1680 ca), Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola
Come ben sappiamo la storia di Roma, soprattutto quella arcaica, ovvero la più antica, è costellata da avvenimenti ed azioni che travalicano spesso il limite tra realtà e fantasia: il mito stesso di Roma con Romolo e Remo, i loro antenati (si diceva fossero figli del dio della guerra Marte e di Rea Silvia, figlia di Numitore re di Albalonga) e il seguente assassinio di Remo ad opera di Romolo erano parte integrante della mitologia romana.
Il mito delle origini di Roma è sempre stato fonte di diverbi fra storici, aristocratici che pretendevano di discendere da una famiglia rispetto ad un’altra, ma anche tra noi contemporanei, quasi affascinati dalle vicissitudini di questo periodo così lontano e stranamente incapaci di comprenderlo totalmente.
Uno degli eventi più significativi di questo periodo, ovvero appena dopo la fondazione di Roma ad opera di Romolo, fu il cosiddetto “ratto delle Sabine”.
Episodio chiave per la crescita della neonata città di Roma fu una delle vicende più controverse dell’intera storia romana.
Roma è fondata e Romolo volle stringere alleanze con le popolazioni vicine al fine di far crescere meglio la città: le mura vennero fortificate, ma c’era un fattore che non venne preso subito in considerazione e che col tempo si rivelò vitale per la piccola cittadina ovvero la scarsità di donne.
Il re decise, quindi, di mandare ambasciatori presso i popoli vicini al fine di combinare nuovi matrimoni tra i romani e questi ultimi, ma gli inviati vennero ignorati e cacciati via (Livio, Ab Urbe condita libri). Ebbe, in risposta, un’idea, cioè quello di rapirle in massa durante una cerimonia fatta, a suo dire, per far vedere la città ai suoi “vicini”.
Al segnale convenuto Romolo e i suoi uomini rapirono le figlie degli invitati e a spade sguainate scacciarono gli uomini dalla città. Ciò causò una guerra tra Roma e i Sabini (assieme ad altre popolazioni “ingannate” dall’invito di Romolo) e furono proprio le donne rapite a scongiurare ulteriori feriti e morti utilizzando i loro corpi al fine di far finire il conflitto.
Fu così che Romani e Sabini, Romolo e Tito Tazio (re dei Sabini) stipularono un accordo di mutuo soccorso, unendo i loro popoli diplomaticamente ed etnicamente, facendo raddoppiare di dimensioni e popolazione Roma e permettendo ai Sabini di godere dei diritti romani.
Questa descritta è la leggenda e come si può notare abbiamo alcune incongruenze, nonostante si possa trovare una certa logicità in determinate azioni, ma andiamo con ordine.
Pur essendo stata fondata da poco Roma appare già come una delle città più forti della regione nonostante la storiografia insegni che ci sarebbero voluti almeno altri 200 anni per far si che emergesse tra le città vicine. Non si sa esattamente nemmeno il numero di donne rapite poichè alcuni dicono una decina mentre altri dicono diverse centinaia: Tito Livio ci dice che non fu uno stupro di massa, ma l’azione venne ugualmente interpretata estremamente male dai Sabini che giurarono di vendicarsi.
Il rapimento forzato delle donne, per di più, può essere stato un grandissimo antecedente per la futura usanza del matrimonio per rapimento, rituale molto comune in epoca antica ed ancora presente in alcune parti del globo ai giorni nostri.
La teoria più accreditata dagli storici è quella che l’inserimento dei Sabini all’interno del tessuto cittadino romano è stato, in realtà, graduale e pacifico: i Sabini, residenti in zone collinari e curiosi verso la nascente città di Roma, furono attratti da questo nuovo centro abitato e i Romani avevano un impellente bisogno di donne al fine di popolarlo.
Come specificato all’inizio è molto difficile capire dove inizi il mito e dove finisce la realtà e viceversa; nonostante ciò i Romani successivi all’evento poterono vantarsi di avere quell’antenato o un altro, sabino o romano, ma egualmente aventi diritto all’interno di Roma, che nel mentre si era ingrandita e si apprestava a conquistare nuovi territori e ad affacciarsi sul Mediterraneo