Il disimpegno morale: comunemente giustificato con il ‘Non è colpa mia’

Marzo 1964, New York

Ore 02.45, la ventottenne Kitty Genovese finisce il proprio turno di lavoro in un bar del Queens vicino al quale parcheggia la sua auto, con la quale sarebbe tornata a casa. Nei 30 minuti di strada di ritorno dal bar, una macchina la segue, ma lei non se ne accorge.

Ore 03.15, scesa dalla macchina, Kitty subisce un’aggressione nei pressi del suo condominio. Le sue urla svegliano numerose persone nei palazzi circostanti, tuttavia, nessuno chiama la polizia per più di mezz’ora. Kitty Genovese decede dopo due aggressioni intorno alle 03.45

Come può essere accaduta una cosa simile? Perché ogni vicino si sentiva meno responsabile perché sapeva che tante altre persone stavano assistendo alla scena. In altre parole si delegittimava dal chiamare la polizia perché sapeva che altri lo avrebbero fatto al posto suo.

Il disimpegno morale

La circostanza appena descritta è un perfetto esempio di disimpegno morale, e più precisamente di diffusione di responsabilità.

Il ‘ disimpegno morale ’ è un mezzo che consente all’individuo di ‘disinnescare’ temporaneamente la sua coscienza personale mettendo in atto comportamenti inumani, o semplicemente lesivi, senza sentirsi in colpa.”

– Albert Bandura

Dunque, nel momento in cui vengono meno le norme etiche, grazie ai dispositivi del disimpegno morale, possiamo liberarci da sentimenti di autocondanna, che sono lesivi per l’autostima, e continuare a dormire sonni tranquilli. Si tratta di un costrutto elaborato da Albert Bandura che esegue un vero e proprio studio sociale, su come tutti noi continuiamo a evadere dalle nostre responsabilità attraverso precisi meccanismi psicologici. Bandura adotta una prospettiva che riconosce l’interdipendenza tra l’azione morale, il soggetto e il contesto in cui si trova.

Le “Strategie”

Vengono individuati da Bandura 8 particolari meccanismi cognitivi che rappresentano le “strategie” con le quali la nostra mente ci esonera dalla responsabilità delle azioni scorrette compiute.

1. La giustificazione morale

Giustificazione morale significa guardare alla propria azione negativa in una più ampia prospettiva di un bene di ordine superiore, un bene che trascende il male che io ho commesso. Non è difficile ricondurre questo tipo di approccio a moltissimi sacrifici commessi e sofferenze inflitte nel corso della storia in nome di Dio, della Patria, del Partito, della famiglia o dell’onore. Sono entità esistenti, ma pur sempre ideali verso cui protendere che non possono e non devono farsi giustifica di azioni malevoli. Vasilij Grossman, in un racconto di denuncia al regime totalitario di cui è vittima, asserisce di preferire un gesto buono semplice, disinteressato e a volte insensato, anche se piccolo, piuttosto che il perseguimento di enormi ideali che portano solo a gravi conseguenze, e che diventano giustificazioni di mali inferiori ma reali per entità immaginarie.

2. Il confronto vantaggioso

Nel caso del confronto vantaggioso, si paragona la propria cattiva condotta ad un esempio negativo maggiormente grave per attenuare la valenza riprovevole della nostra azione. Un esempio molto semplice potrebbe essere, storicamente, riconducibile al confronto (spesso oggetto di discussione) Italia fascista-Germania nazista. Nonostante le innegabili colpe dell’Italia nel Novecento, con la Germania nazista abbiamo trovato il male maggiore col quale raffrontarci, abbiamo individuato il confronto vantaggioso. I nazisti hanno attuato la massima tragedia, universalmente riconosciuta, in confronto alla quale (nell’ottica del disimpegno morale), l’Italia pare innocente.

3. L’attribuzione della colpa

Un espediente utile per trovare una giustificazione alla propria azione è quella di prendersela con avversari o con le circostanze che a detta dell’individuo sarebbero stati provocatori e avrebbero innescato per primi la catena di violenza. Esempio lampante è la tipica constatazione alla notizia di uno stupro: ‘Hai visto come era vestita? Se l’è cercata’. Infatti ‘Come era vestita quella sera?’ è l’interrogativo che più spesso le vittime di stupro si sentono domandare. Ma davvero la violenza sessuale può dipendere da una gonna troppo corta?

4. L’etichetta eufemistica

L’etichettamento eufemistico consiste nel ridimensionare il male causato tramite le parole con le quali viene descritto. Quindi, sminuire le nostre cattive azioni con l’etichetta linguistica. Esempio: può essere definito ‘un normale litigio tra marito e moglie‘ quella che è in realtà una grave violenza domestica.

5. Distorsione delle conseguenze

Il meccanismo della distorsione delle conseguenze può essere di due tipi:

A) Non vengono considerate le conseguenze che un nostro cattivo comportamento può avere su noi stessi e sugli altri. In questo modo si aumenta la distanza tra soggetto danneggiante e vittima danneggiata: ‘Non serve allacciare la cintura al bambino, facciamo poca strada’.

B) La nostra condotta viene valutata esclusivamente in funzione delle conseguenze che ha (nel caso in cui queste ultime dovessero rivelarsi positive). Esempio: se tiro un pugno a qualcuno, va in ospedale e lì incontra l’amore della sua vita, mi sentirò il motivo per il quale li avrò fatti incontrare omettendo la mia brutta azione. In altre parole, misuro la mia azione in funzione degli effetti concreti che ha, analizzando la catena causale che a noi risulta più vantaggiosa, in un’ottica consequenzialista e non più deontologica kantiana (l’errore in sé per sé).

6. Diffusione della responsabilità

Negli anni ’60 due sociologi di nome Latané e Darley hanno effettuato un esperimento particolare: invitando dei soggetti in una stanza con la scusa di dovergli porre dei questionari. All’interno di questa stanza era presente un attore che avrebbe dovuto simulare degli attacchi epilettici. È stato verificato che all’aumentare del numero di persone nella stanza, diminuiva la percentuale dei soggetti sperimentali che ha offerto il proprio aiuto all’attore. Questo, perché il controllo morale viene indebolita dalla condivisione con altri dell’azione. Lo stesso principio può essere applicabile per il fenomeno dell’inquinamento, enunciazioni come ‘tanto non sarà la mia raccolta differenziata a salvare il mondo’ ne sono la dimostrazione tangibile.

7. Dislocamento della responsabilità

Nell’1961 ha avuto luogo, a Gerusalemme, il famoso processo Eichmann, che ispirerà poi il libro ‘La banalità del male‘ di Hannah Arendt. Otto Adolf Eichmann è stato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, egli non era certo il rappresentante nazista canonico. Negò di odiare gli ebrei, e al processo si giustificò dicendo che la sua unica responsabilità consiste nell’aver eseguito gli ordini delle autorità ‘come qualunque altro soldato in guerra avrebbe dovuto fare‘. Numerosi studiosi si saranno poi interrogati sul rapporto tra autorità e responsabilità personale, tra cui Stanley Milgram, che condurrà un esperimento psico-sociale molto interessante. Alla base dei comportamenti di cui poc’anzi c’è il dislocamento della responsabilità, in cui si attribuisce la responsabilità ad un terzo esterno facendo derivare la propria cattiva condotta come conseguente da esso.

8. La disumanizzazione

Qui, la disumanizzazione dell’altro funge da anestetico morale. Essa consiste nella visione e il trattamento di altre persone come se gli mancassero le capacità mentali di cui godiamo in quanto esseri umani. L’oggettivazione della donna è un fenomeno che riguarda molti paesi del mondo ed è un perfetto esempio di disumanizzazione, in cui la donna può essere violata, ‘scambiata’, le viene negata l’autonomia e l’autodeterminazione. O ancora, lo sfruttamento minorile e non nell’Inghilterra vittoriana che riconosceva nel cittadino non tanto un essere umano quanto una forza-lavoro.

Tutti quelli di sopra citati sono solo esempi di meccanismi che agiscono nel nostro quotidiano ogni volta che mentiamo, che commettiamo un errore, che facciamo soffrire qualcuno per sfuggire allo scomodo confronto con la parte più onesta del nostro Io, la coscienza. Tuttavia, seppur sconveniente, la consapevolezza dei nostri sbagli può permettere un progressivo miglioramento, ma nessuno deve sentirsi escluso.

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