Il barocco italiano e il Concerto grosso «Fatto per la notte di Natale»:
L’età barocca rappresenta una svolta importante nel campo della Musica. In campo strumentale i musicisti italiani saranno addirittura all’avanguardia: alle loro esperienze guarderà lo stesso Johann Sebastian Bach, maestro indiscusso del barocco tedesco.
È più che mai azzeccato un accostamento tra l’evoluzione del violino e l’affermarsi degli strumentisti e dei compositori italiani. Non si tratta di eventi casuali: gli italiani sono i celebri liutai che determinano l’evoluzione di questo strumento e saranno i violinisti-compositori che decreteranno il successo delle forme strumentali più tipiche del barocco.
Giuseppe Torelli e Arcangelo Corelli furono gli iniziatori del «concerto grosso», che altro non era se non la dilatazione in campo orchestrale della cameristica o ecclesiastica sonata a tre. L’aggettivo «grosso» è in relazione alla crescita quantitativa dell’organico orchestrale: si delinea già quella che sarà l’orchestra classica del secondo Settecento, mentre sopravvive la presenza di un gruppo di solisti (due violini e violone più l’arricchimento armonico del clavicembalo) che prende il nome di «concertino».
Il fascino di questa forma compositiva risiede proprio nell’avvicendamento del «tutti» e del «concertino» e nel contrapporsi non solo dei solisti, ma anche di questi ultimi tra loro, in un gioco incessante di domanda e risposta. Il periodo aureo del concerto grosso si può fissare tra l’ultimo ventennio del Seicento e la prima metà del secolo successivo, e una buona metà di questi sessanta-settant’anni è dominata dalla produzione di Arcangelo Corelli. A questo genere, con le dodici composizioni dell’opera 6, diede una forma definitiva e l’esempio più bello e significativo è il numero 8 in Sol minore «Fatto per la notte di Natale».
Si dice che il Concerto grosso op. 6 n. 8 in sol minore di Arcangelo Corelli (Fusignano, 1653 – Roma, 1713) sia stato eseguito la prima volta una notte di Natale e così ne ebbe il nome. Il motivo del titolo si scopre però con maggiore evidenza nel finale che, a dispetto di ogni buona regola del «concerto grosso», non appare un Allegro, bensì un Largo sul ritmo ternario di una Pastorale, proiettando la nostra immaginazione verso pecorai, cestini di ricotta, asini e buoi. Per quanto riguarda il «concertino», Corelli si attiene alla tavolozza coloristica appena ideata con protagonisti due violini più un violoncello. La luce e la contabilità degli archi sono poi rese perfettamente con «il carattere espressivo e la nobiltà degli Adagi corelliani», citando Combarieu.
Lascio dunque ai gentili lettori l’ascolto dell’Ottavo concerto dell’Opera 6, che il maestro di Fusignano mise a punto nel 1713, l’anno della sua morte: quasi un testamento.
Argomento molto interessante!