Giuseppe Melchiorre Sarto San Pio X

“Modernizzare le istituzioni della chiesa per combattere la modernità” – Pio X

Un profilo biografico

Premessa

La donna? “che la piasa, che la tasa, che la staga in casa (che piaccia, che taccia, che stia in casa); l’uguaglianza tra gli uomini? “La società umana, come Dio l’ha stabilita, è composta di elementi diseguali. Di conseguenza è conforme all’ordine stabilito da Dio che vi siano nella società umana dei principi e dei sudditi, dei padroni e dei proletari”; i principali nemici della chiesa? Molto più pericolosi quelli interni di quelli esterni: ”i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista.

Come si è visto, utilizzando qualcuno tra i suoi aforismi più noti e delle sue dichiarazioni, sarebbe relativamente facile liquidare Giuseppe Sarto – Pio X, papa dal 1903 al 1914, proclamato beato nel 1951 e santo nel 1954 – come tipico rappresentante di quel clero veneto culturalmente retrivo e politicamente reazionario che nel 1866 aveva mal digerito il passaggio dall’impero asburgico all’Italia e che per una serie più o meno fortuita di coincidenze (non ultima il veto austriaco al suo principale competitor nel conclave del 1903, il card. Mariano Rampolla Del Tindaro) si trovò a salire sul soglio di Pietro.

Naturalmente questa prospettiva è totalmente opposta a quella dei non pochi supporters di questo papa, che invece lo considerano un grande riformatore e rivendicano la sua lucidità e la sua prontezza nel reagire all’attacco portato fino all’interno della chiesa da parte di una certa cultura moderna, insofferente ad ogni principio gerarchico e desiderosa di emanciparsi in qualsiasi modo dal controllo disciplinare, teologico e politico della gerarchia ecclesiastica. Allora come stanno davvero le cose? Quanti si occupano seriamente di storia sanno che, pur nell’impossibilità di restituire con pienezza e totalmente eventi e persone, per approssimarsi alla realtà effettiva l’utilizzo del chiaroscuro è tecnica molto più efficace di quanto non lo siano i giudizi ultimativi e tranchant. Questa dunque la strada che qui si cercherà di seguire.

Formazione e primi incarichi

Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riese (oggi Riese Pio X) nel giugno del 1835; la famiglia, numerosa, non era però poverissima e quindi Giuseppe poté studiare frequentando il ginnasio a Castelfranco Veneto e poi il liceo nel seminario di Padova dove, maturata l’intenzione di diventare sacerdote, usufruì di un posto gratuito; nel 1852, a 17 anni, morì suo padre: la famiglia avrebbe voluto che egli tornasse in famiglia ma Giuseppe fu irremovibile nell’affermare il desiderio di proseguire il cammino fino all’ordinazione sacerdotale. Durante il quadriennio di studi teologici (1854-1858) dimostrò una grande passione per la musica sacra, palesando così una spiccata propensione alla cura per la liturgia. Ordinato sacerdote nel settembre del 1858, venne inviato come cappellano a Tombolo, nel padovano.

Con questo primo incarico comincia quella che alcuni storici hanno rilevato essere la “regola dei nove anni” nella vita di Sarto: ogni incarico successivo durerà infatti (più o meno) nove anni, al termine dei quali egli verrà chiamato a nuove sfide. A Tombolo il futuro Pio X sviluppò le inclinazioni, le attenzioni e gli interessi mostrati in precedenza, molti dei quali resteranno un leit motiv fino al periodo del papato: istituì una scuola di cantori liturgici, si preoccupò di combattere l’analfabetismo istituendo un corso serale e si dedicò assiduamente alla catechesi. Nell’estate del 1867 ebbe la sua prima parrocchia, Salzano, un paese in provincia di Venezia ma curiosamente pressoché equidistante da Castelfranco Veneto, Padova, Treviso e appunto Venezia, tutte città e province che ebbero un ruolo nella sua vita.

A Salzano Sarto si distinse per la sensibilità caritativa e sociale (in particolar modo durante una grave epidemia di colera) e per la stesura della prima redazione di quello che poi sarebbe diventato un suo “cavallo di battaglia”: un catechismo strutturato in una lunga serie di domande e risposte brevi, in grado di compendiare in modo facilmente ricordabile i fondamenti della dottrina cristiana. A Salzano strinse anche amicizia con una famiglia ebraica, i Romanin Jacur, proprietari di una filanda. È un fatto di rilievo perché evidenzia quella che resterà fino alla fine una caratteristica di Sarto/Pio X: la coesistenza in lui di una certa affabilità e apertura nei rapporti personali con gli ebrei, abbinata però ad un’irremovibile intransigenza circa la loro “collocazione teologica” e politica. Emblematico il fatto che, nel 1904, incontrando da papa il fondatore del sionismo Theodore Herzl venuto a chiedergli un appoggio per la creazione di uno stato ebraico in Palestina pronunciò un netto rifiuto con queste parole: “Gli ebrei non hanno riconosciuto il nostro Signore, quindi non possiamo riconoscere il popolo ebraico”.

Nell’estate del 1875 Sarto è chiamato dal vescovo di Treviso Zinelli a ricoprire il ruolo di cancelliere di curia e tale resterà anche con i successori Callegari e Apollonio; con Callegari in particolare si creerà un solido legame di amicizia, mentre riguardo la sua attività, le fonti confermano il rigore dottrinale e l’inflessibilità disciplinare con cui affrontava le questioni, abbinati ad una buona capacità di mediare nelle situazioni concrete; a Treviso Sarto divenne anche consigliere del tribunale ecclesiastico, canonico della cattedrale (nel 1879 primicerio), padre spirituale del seminario e professore di religione del liceo vescovile. Alla morte di Zinelli fu vicario capitolare generale fino all’arrivo di Callegari. Erano tutti incarichi che lo misero in evidenza, favorendo l’ulteriore passaggio della sua carriera ecclesiastica: la nomina a vescovo di Mantova, diocesi che resse a partire dal 16 novembre 1884.

Vescovo di Mantova

Sin dalla metà del secolo la diocesi mantovana era stata percorsa da vivaci fermenti politico-culturali: basti pensare alla figura di don Tazzoli, uno dei più noti martiri di Belfiore del 1852 o a quella del filosofo positivista R. Ardigò, dal 1871 fiero avversario della chiesa dopo che per vent’anni aveva fatto parte del clero mantovano, ma proprio negli anni tra il 1882 e il 1885, le campagne mantovane assieme a quelle del trevigiano e del rovigotto furono teatro degli aspri scioperi bracciantili de “la boje”. Una diocesi “calda” insomma – peraltro non lontana da quella di Cremona, affidata dal 1871 al conciliatorista G. Bonomelli, per molti aspetti distante dalle sue posizioni – alla guida della quale Sarto manifestò con decisione le linee portanti della sua impostazione pastorale.

Nel sinodo del 1888 chiarì infatti che non avrebbe tollerato sacerdoti dediti alla politica: il loro compito doveva essere limitato al campo pastorale e non sarebbe stato concesso alcuno spazio a manifestazioni di cattolicesimo liberale; in campo sociale occorreva sostenere l’Opera dei congressi che – nella linea intransigente di rifiuto del riconoscimento dello stato liberale gagliardamente impostata dal suo leader G.B. Paganuzzi – rappresentava per i cattolici l’unica strada lecita di partecipazione all’agone politico-sociale. Condividendo in pieno quanto veniva pubblicando don Albertario sull’”Osservatore Cattolico” di Milano, in una lettera allo stesso Paganuzzi del 1890  Sarto dichiarava che nelle elezioni amministrative non si sarebbe dovuto mai dare il voto ad alcun liberale e si sarebbe dovuti restare “intransigenti fino al midollo”.

Anche nel campo della catechesi e della dottrina cristiana agì in modo deciso: dopo pochi mesi dal suo ingresso in diocesi impose ad ogni parrocchia l’istituzione della scuola di dottrina cristiana per i fanciulli e volle che ogni domenica non mancasse la catechesi al popolo. In ambito liturgico, nel settembre 1894, mentre restava ancora a Mantova in attesa dell’exequatur per poter accedere alla sede patriarcale di Venezia, Sarto conferì i quattro ordini minori e l’ordine del suddiaconato al maestro L. Perosi, che per parte sua lo convinse della necessità di ripristinare il canto gregoriano nelle celebrazioni liturgiche. Le tensioni tra la chiesa e lo stato italiano per via del giuspatronato regio sulla cattedra patriarcale veneziana fecero sì che tra la nomina a Patriarca (15 giugno 1893) e l’effettivo ingresso in diocesi (24 novembre 1894) trascorressero diciassette mesi, perché l’exequatur fu concesso solo il 10 ottobre precedente. Tre giorni prima della nomina, peraltro, Leone XIII aveva imposto a Sarto la berretta cardinalizia e dunque lo aveva reso un futuro elettore del proprio successore ed anche potenziale eletto.

Patriarca di Venezia ed elezione a Papa

A Venezia il card. Sarto completò il percorso di consacrazione di Perosi, che nel 1895 divenne prima diacono e poi presbitero; a lui affidò l’incarico di maestro di cappella della basilica di San Marco. Più in generale, rafforzò il suo sostegno all’Opera dei Congressi chiedendo però a Roma che vi fosse un assistente ecclesiastico a vigliare sul suo consiglio direttivo; favorì lo sviluppo delle Casse rurali e di quelle operaie ma esercitò un rigido controllo centralizzato di ogni iniziativa ecclesiale, nella convinzione sempre più forte e pressante che il liberalismo stesse cominciando a infiltrarsi pericolosamente all’interno della chiesa.

Ciò è evidenziato con chiarezza sin dalla prima lettera pastorale da lui indirizzata ai veneziani nel settembre del 1894: per Sarto l’esistenza di uomini apertamente contrari alla chiesa era un dato di fatto della chiesa di tutti i tempi; ciò che riteneva inammissibile è che esistessero cattolici che sognavano un’impossibile conciliazione fra luce e tenebre, facilitando così l’opera dei nemici della chiesa: essi erano i cattolici liberali, i «coperti nemici molto più nocivi degli avversari dichiarati» che non solo non ammettevano i loro errori, ma li avrebbero voluti far diventare la dottrina stessa della chiesa. Costoro «raccolgono le insidie maliziose della storia» per gettare discredito sulla chiesa e sui pontefici reinterpretando il magistero pontificio a loro vantaggio e «si arrogano di saper tutto». I cattolici liberali erano insomma i «lupi coperti dalla pelle di agnelli» dai quali ci si doveva guardare per restare fedeli alla dottrina che viene da Dio e che veniva proposta dal magistero infallibile della chiesa.

Queste rigorose prese di posizione non gli impedirono però di assumere un contegno pragmatico di fronte alla concretezza della vita politica veneziana: nel 1895 infatti benedisse l’alleanza tra liberali moderati e cattolici in chiave anti-laicista e anti-socialista, favorendo così la nascita della giunta guidata dal conte F. Grimani, che fu rieletto sindaco varie volte e resse la città lagunare fino al 1919. Grazie a questa intesa il cardinale ottenne la reintroduzione della preghiera mattutina obbligatoria nelle scuole elementari e il pieno sostegno a un Segretariato del popolo vicino all’Opera dei Congressi che mise fuori gioco la Camera del lavoro socialista; il legame con Grimani fu talmente saldo che quando veniva sollecitato ad agire in modo più diretto sulla giunta Sarto rispondeva: “ciò che fa il conte Grimani è ben fatto e non ha bisogno dei consigli del Patriarca”.

Nell’ultimo anno prima dell’elezione al soglio pontificio, si schierò dalla parte del leader conservatore dell’Opera dei Congressi G.B. Paganuzzi preso di mira da un articolo di R. Murri, il sacerdote marchigiano che lavorava già da qualche anno alla creazione di un partito dei laici cattolici autonomo dalla gerarchia. In questo modo il card. Sarto rese pubblica e manifesta una contrapposizione che sarebbe divenuta molto più aspra con l’elezione al soglio di Pietro.

Morto il 20 luglio 1903 Leone XIII, il successore più probabile sembrava essere il card. Mariano Rampolla Del Tindaro, fine diplomatico che da Segretario di Stato aveva coadiuvato Leone XIII nella sua paziente opera di rilancio della S. Sede nello scacchiere politico internazionale. Come accennato in apertura, dopo alcuni scrutini l’arcivescovo di Cracovia J. Puzyna, esercitando lo ius exclusivae, comunicò per conto del governo austriaco il veto nei confronti di Rampolla, ritenuto troppo filo-francese. I cardinali furono notevolmente contrariati da questa pesante intromissione (resa peraltro impossibile per i futuri conclavi proprio da uno dei primi interventi normativi di Pio X) ma alla fine decisero di orientarsi verso un cardinale che avesse alle spalle un profilo eminentemente pastorale come appunto era quello del card Sarto.

Il pontificato

Una volta eletto papa, Pio X enucleò il suo programma nell’enciclica E supremi apostolatus Chatedra, pubblicata nell’ottobre 1903. Sulla scorta dal motto instaurare omina in Christo, Pio X da una parte intendeva intraprendere un ampio progetto di riforma pastorale per rilanciare la catechesi e la liturgia in funzione di una più piena partecipazione alla vita sacramentale da parte dei fedeli; dall’altra prospettava una decisa azione disciplinare per stroncare il pericoloso diffondersi – nell’ambito degli studi esegetici, della ricerca scientifica, della partecipazione alla vita sociale e politica – di un sentimento di autonomia e indipendenza dal controllo della gerarchia ecclesiastica, che veniva interpretato come il frutto avvelenato della modernità. Una volta riaffermato il primato papale sui sudditi cattolici per evitare disastri e catastrofi si sarebbe poi dovuto estenderlo anche ai governi dei vari stati mondiali. I presupposti giuridico-amministrativi per conseguire l’uno e l’altro obiettivo furono la creazione di un Codice di diritto canonico e la riorganizzazione e razionalizzazione delle congregazioni curiali.

Per quanto riguarda gli aspetti giuridico-amministrativi, pubblicando nel marzo del 1904 il motu proprio Arduum sane munus il papa istituiva una commissione finalizzata alla stesura di un Codice di diritto canonico che mettesse ordine nel ginepraio di leggi ecclesiastiche accumulatesi nel corso dei secoli; come segretario della commissione venne scelto mons. P. Gasparri, esperto canonista e futuro Segretario di Stato; Pio X non visse abbastanza per vedere il lavoro concluso ma nel 1917 il codice fu promulgato dal successore Benedetto XV.

Nel giugno 1908, invece, la costituzione Sapienti consilio provvedeva a una radicale riduzione delle congregazioni romane, ridotte da venti a undici, con grande rilievo attribuito alla Congregazione Concistoriale – deputata alla nomina dei vescovi e al governo delle diocesi – e alla Congregazione del Concilio, che si occupava della disciplina del clero e dei fedeli. La Segreteria di Stato divenne il nuovo ministero degli Affari Esteri; al suo fianco operava la Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, che si occupava delle leggi civili e dei rapporti con gli Stati su queste tematiche mentre “Propaganda Fide” manteneva la responsabilità dei i territori di missione. È interessante notare che il S. Uffizio e la Congregazione dell’Indice, che pure svolgevano un ruolo analogo, vennero tenute distinte, perché il papa era convinto che ben presto la seconda avrebbe avuto una grande mole di lavoro per visionare (e condannare) i testi contenenti proposizioni teologicamente erronee. Infine fu creata ex novo la Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti, finalizzata ad attuare i rinnovati programmi pastorali del papa.

Il rilancio della catechesi e della liturgia si sviluppò lungo tutto il corso del pontificato e approdò ad alcune importanti innovazioni. Come sappiamo, fin dagli inizi della carriera ecclesiastica la cura per il catechismo fu uno dei temi dominanti la sensibilità di Sarto; ora, da papa, poteva intervenire in modo deciso su di esso. Dopo aver fatto pubblicare nel 1905 un Compendio della dottrina cristiana basato su testi di autori settecenteschi, si impegnò in prima persona a rivedere, correggere ed emendare il catechismo, pubblicando nel 1912 l’esito finale del suo lavoro, il Catechismo della dottrina cristiana articolato in 443 brevi domande e risposte, reso obbligatorio in tutte le diocesi italiane e a sua volta compendiato nell’edizione per ragazzi intitolata Primi elementi della dottrina cristiana, sulla quale si sono formate per un cinquantennio intere generazioni di cattolici. La seconda domanda e risposta della sezione Prime nozioni di dottrina cristiana –  “Chi è Dio?” “Dio è l’Essere Perfettissimo, Signore del cielo e della terra” – restano incise nella memoria di decine di migliaia persone.

Sul piano liturgico, a Roma Pio X ritrovò l’amico L. Perosi, che già nel 1898 Leone XIII aveva nominato Direttore perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistina; con il suo appoggio intervenne ridefinendo gli scopi del canto liturgico stabilì i vincoli della musica liturgica. La polifonia venne ammessa ma fu raccomandato il più possibile l’uso del canto gregoriano, mentre vennero proibiti gli abusi che portavano ad eseguire musica di genere operistico nel corso delle messe. I cantori evirati vennero progressivamente sostituiti dai cori di voci bianche dei fanciulli.

Due importanti interventi furono invece compiuti in relazione al sacramento dell’Eucaristia: con il decreto Sacra tridentina Synodus del dicembre 1905 i fedeli furono invitati ad accostarsi frequentemente al sacramento eucaristico, per lasciarsi alle spalle i residui del rigorismo giansenista e dare corso ad una proposta espressa da diversi teologi al fine di rafforzare la fede e l’obbedienza dei fedeli attraverso il supporto costante della grazia sacramentale; con il decreto Quam singulari dell’agosto 1910 si anticipava a sette anni l’età nella quale sarebbe stato doveroso fare accedere i fanciulli al sacramento. Anche in questo caso lo scopo era quello di anticipare il più possibile il conferimento della grazia sacramentale, onde rendere i fanciulli pronti ad affrontare le sfide della successiva età dell’adolescenza ed impedire che “la gioventù, priva di un aiuto efficacissimo, circondata da tante insidie, perduto il suo candore, si gittasse nel vizio prima di aver gustato i santi misteri”.

Gli aspetti più controversi del pontificato e della figura di Pio X riguardano però la sua opera di condanna del modernismo, concretizzatasi con la pubblicazione dell’enciclica Pascendi Dominici gregis del settembre 1907, preceduta nel luglio dello stesso anno dal decreto del S. Uffizio Lamentabili sane exitu. Quest’ultimo raccoglieva in modo poco organico 65 proposizioni, in gran parte riprese dalle opere dell’ecclesiastico francese Alfred Loisy, il quale sosteneva l’importanza e la liceità dell’applicazione degli strumenti storico-critici ai testi sacri, poiché solo in questo modo le verità eterne del cristianesimo sarebbero potute risultare comprensibili all’uomo moderno. L’enciclica di settembre si premurò di spiegare perché le tesi di Loisy e di tutti gli altri modernisti erano da rifiutare in toto: pretendendo di rinnovare la chiesa e di adeguarla alla cultura e alla società contemporanea i modernisti, consapevolmente o inconsapevolmente, ottengono l’effetto di smembrarla e distruggerla, perché minano alla base il vincolo necessario dell’obbedienza alla gerarchia e lo sostituiscono con un sostanziale immanentismo e agnosticismo.

La pubblicazione dell’enciclica ebbe un duplice effetto, a seconda della ricezione che ad essa concessero coloro che venivano accusati di modernismo. Una parte di loro accettò la sfida portata dalle definizioni date “in negativo” dal papa e quindi rispose cercando di argomentare per evidenziare l’incomprensione delle loro posizioni palesate dal documento; in questo modo però si legittimava un testo che, nella concretezza delle affermazioni, era confuso e non coglieva il livello reale della posta in gioco. Altri invece (una minoranza, tra i quali lo stesso Loisy) sottolineano che, agendo con il fuoco purificatore, il papato stava precludendo al cattolicesimo la possibilità di preservare l’assolutezza e l’atemporalità del messaggio cristiano proprio perché lo cristallizzava in forme e formule desuete e progressivamente sempre più lontane e incomprensibili per la sensibilità moderna. Loisy credeva nell’eternità del messaggio cristiano ma aveva compreso che congelarlo in forme storicamente determinate, che pretendevano di essere eterne, lo avrebbe estraniato dal discorso pubblico contemporaneo.

Questa sostanziale incomprensione dell’operazione proposta dai modernisti e la riduzione delle loro personalità a un gruppo di ribelli da castigare e reprimere costituisce il limite principale dell’azione di Pio X. Limite che ovviamente diventa pregio assoluto per quanti invece sono indissolubilmente legati ad un cattolicesimo come forma storicamente determinata ritenuta eterna ed immutabile. Da questa impostazione nascono anche le differenti interpretazioni del pontificato di Pio X come papato radicalmente “riformatore” o come papato che ha usato la razionalizzazione modernizzatrice in funzione antimoderna.

La riforma della curia di cui si è detto in precedenza, fu infatti orientata a creare forme di controllo centralizzato sull’episcopato, sottoposto a pressioni e misure di sorveglianza che, inevitabilmente – per la dinamica stessa di questo tipo di relazione – portarono a esagerazioni, fraintendimenti, inutili vessazioni e sofferenze; esse colpirono anche prelati di alto profilo teologico e morale e di sicura fedeltà dottrinale (il caso del card. Svampa di Bologna e del card. Ferrari di Milano sono da questo punto di vista molto significativi). Anche il Codice del 1917, quindi, se da una parte può essere letto come un innegabile passo verso la modernizzazione delle strutture ecclesiali, dall’altra dotava la gerarchia di uno strumento in grado di punire chi si macchiava della colpa di produrre comportamenti, testi scritti o dichiarazioni ritenuti in modo insindacabile non in linea con le direttive centrali della S. Sede.

Da questa impostazione derivarono altre due conseguenze: da una parte il mancato riconoscimento al laicato cattolico di qualsiasi autonomia in ambito politico- sociale (emblematici i casi di R. Murri in Italia e del movimento Le Sillon fondato da M. Sagnier in Francia); dall’altra la nascita di un gruppo di ultras filo-papali – gli integristi –  che esasperarono la lotta utilizzando metodi delatori e spionistici del tutto contrari al rispetto della dignità umana in nome della difesa strenua di una “chiesa” di cui di fatto si sentivano gli unici veri rappresentanti. Si tratta in particolare del Sodalitium pianum, fondato e guidato dal sacerdote umbro U. Benigni che, presentando la storia moderna come una catena di errori sempre più perniciosi generati dalla Riforma luterana, si abbandonarono a tesi cospirazioniste, riconducendo a un complotto giudiaco-massonico la nascita del movimento modernista.

Pio X non appoggiò in modo del tutto pieno questa deriva ma fu soltanto dopo la sua morte e dopo l’ascesa al soglio pontificio di Benedetto XV che la violenta polemica alimentata da costoro all’interno della chiesa si placò. Ciononostante gli integristi restarono operativi all’interno della chiesa e riemersero in modo eclatante durante e dopo la celebrazione del Concilio Vaticano II (1962-1965).

Non potendo affrontare in modo esaustivo altri passaggi rilevanti del pontificato di Pio X (come lo scontro con le repubbliche francesi e portoghese o l’atteggiamento di fronte ai sindacati cattolici non confessionali) ci si limita qui a ricordare che l’ultima grande questione che Pio X dovette affrontare fu quella dello scoppio della prima guerra mondiale. Di certo si può dire che egli fosse personalmente molto preoccupato dell’evolversi degli eventi nell’estate del 1914, poiché si rendeva conto che, nella sua posizione, qualsiasi passo avrebbe potuto essere interpretato e strumentalizzato da qualche forza in campo. L’angoscia per “il guerrone” che sentiva minacciosamente in arrivo già al momento dell’inizio dei conflitti nei Balcani tra il 1911 e il 1913, contribuì certamente ad indebolire il suo cuore, che cessò di battere il 20 agosto del 1914. Al di là di qualsiasi interpretazione storica si voglia dare della sua figura e del suo pontificato, la conferma della sua importanza nell’autocoscienza di una parte rilevante della chiesa la si ebbe nel secondo dopoguerra, quando il suo successore Pio XII lo proclamò prima beato (1951) e poi santo (1954). Fu il primo papa del Novecento ed è stato il primo papa del Novecento ad essere canonizzato (al momento sono quattro ma potrebbero salire a sei): un dato di fatto sul significato del quale non si può non riflettere.

Marcello Malpensa

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