Giovanni Verga nacque nel 1840 a Catania. Egli fu allievo di un poeta e sacerdote, don Antonino Abate, i cui ideali patriottici furono oggetto di influenze per l’autore. In seguito alla spedizione Garibaldina nell’ambiente siciliano, Verga prestò servizio nella Guardia Nazionale. Dal 1885 l’autore viaggiò a Firenze, dove entrò in contatto con la vita mondana e culturale della città. L’incontro con i pittori Macchiaioli e Luigi Capuana si scoprì importante. Nel 1872 egli si trasferì a Milano, dove si approcciò con gli ambienti della Scapigliatura. Dopo il successo ottenuto con le sue opere pre-veriste, Verga maturò l’adesione al Verismo grazie ai romanzi di Emile Zola, all’interesse per le condizioni socioeconomiche del Sud e al legame con Capuana. E’ in questo periodo che nacquero le grandi opere di Verga. In seguito a Rosso Malpelo, vi fu l’uscita di una raccolta di novelle Vita dei campi e il romanzo I Malavoglia. L’accoglienza del pubblico è fredda, ma non per questo l’autore non continuò con le sue opere. Infatti, egli terminò le Novelle rusticane e il romanzo Mastro-don Gesualdo. Nel 1893 l’autore tornò in Sicilia. Angosciato dal disinteresse del pubblico per i suoi romanzi, riuscì almeno a garantire un risultato positivo alle precarie condizioni economiche. In pensiero per la gestione dei beni familiari, egli lavorò con indecisione al completamento del Ciclo dei Vinti, che infatti non concluse. La sua creatività si stava esaurendo, ma le sue posizioni politiche si fecero conservatrici. Nel 1912, egli aderì al Partito nazionalista e sostenne l’intervento italiano nella Grande Guerra. Finito il conflitto mondiale, la sua opera letteraria ebbe i primi tardivi riconoscimenti critici. Testimoni sono il festeggiamento per i suoi ottant’anni celebrati nell’ambiente romano e la nomina a senatore del Regno, che lo lasciò indifferente. Morì nel 1922, a Catania, a causa di una trombosi cerebrale, che lo condusse ad una notte agonizzante.