Mettetemi un’etichetta e mi avrete annullato
Søren Kierkegaard
Kierkegaard esordisce così quando parla di etichette. Ma vediamo cosa sono e perché ci limitano? Esse ci annullano?
Ad oggi, le etichette non sono qualcosa che ci vengono attribuite solo dalla società, ma addirittura, abbiamo sviluppato la capacità di auto-etichettarci.
Cosa sono le etichette?
Sono auto-condanne che ci attribuiamo: “Mi sono comportato come un bugiardo” inconsciamente quello che avviene e che ci identifichiamo con l’etichetta “bugiardo”.
Oppure sono schemi fissi da cui è difficile uscire, che ci impediscono di avere una visione globale e senza filtri su quello che accade e ci circonda: “Sono un informatico” in realtà non siamo solo ciò che diciamo di essere, ma siamo ben altro, solo che ci fa comodo auto-limitarci.
Il lato negativo
Consiste nel crearsi e/o credere a un pensiero artefatto che nega ogni possibilità di cambiamento – in termini di consapevolezza e/o crescita personale.
Perciò capiamo che etichettarci ci può svalutare/annullare in molti casi, perché c’è la tendenza ad identificarci – questo ci porta a vivere su un piano diverso snaturando la visione della realtà.
Il buono(forse) dell’etichetta
L’altra faccia della medaglia ha in se un lato positivo, in quanto ci sono etichette – ad esempio, “simpatico”, “fedele”, “bravo”, ecc … – che assemblano uno status e una buona reputazione in quanto esseri sociali, inoltre ci permettono di vivere (solo temporaneamente) in armonia con le altre persone.
Nel buono dell’etichetta però c’è un piccolo problema: nel momento in cui le persone ci etichettano, inevitabilmente sentiamo il peso psico-sociale di essa.
Infatti c’è la paura di:
- perdere quell’etichetta che abbiamo “sudato” – molte volte per accettazione sociale;
- identificarci con un’etichetta che non rientra nel nostro comportamento.
Il punto chiave
E’ bene usare consapevolmente il verbo essere, ergo non identificarci in definizioni, esempio:
- “Sono pigro”: è bene cambiarlo perché non si può essere solo uno stato d’animo in quel momento, allora il pensiero riformulato dovrebbe apparire come segue “Non c’è stata la voglia di fare fino ad adesso”;
- “Sono arrabbiato”: è solo uno stato transitorio, allora la frase diventa “C’è della rabbia in questo momento, ma passerà successivamente”.
Meno ci identificheremo in qualcosa e meno ci dominerà essa. Solo così, osservando quello che sentiamo nel nostro corpo e non giudicandolo, ergo lasciandolo andare perché è solo temporaneo (transitorio), capiremo come non personificare delle definizioni o stati d’animo.
Tabù (bonus)
C’è chi dice che Dio sia solo un etichetta che attribuiamo noi esseri umani per identificare la forza che domina l’equilibrio nell’universo, altri lo personificano sotto forma di uomo, forse per una limitazione capacitiva in termini di immaginazione, allora porgo la seguente domanda:
Se Dio è un’etichetta allora potrebbe anche esserlo il nostro nome?…