Dal Pessimismo all’Ottimismo: Un itinerario nel sentirsi Umani II°
“Uomo, cosa sai? Niente.
Uomo, cosa sei? Niente:
Un pugno di fango ed un sospiro, una
Manciata di sogni e battiti
E un bacio mai dato
O almeno non ancora…”
Il Pessimismo Arcaico- Alle radici del Male di vivere
A dispetto di quanto si possa immaginare, l’inizio del nostro viaggio coincide con l’inizio della Letteratura Occidentale: prima di Leopardi, prima di Schopenhauer, prima della disincantata e brutale visione della Storia che Manzoni propone nell’ “Adelchi”, persino prima della cosiddetta Età Classica, nel momento in cui un misterioso, leggendario cantore si accinse a narrare la prima, vera, grande Storia: la Guerra di Ilio (Iliade).
L’argomento di questa “puntata” sarà proprio il Pessimismo cosiddetto “Arcaico”, che prende il nome dalla fase della letteratura nella quale apparve per la prima volta.
Omero- Il grande Sconosciuto
In questo articolo eviteremo di impelagarci nell’interminabile “querelle” letteraria sull’incerta identità ed esistenza di una mente singola dietro la composizione del poema (Questione Omerica) per motivi di spazio, tempo e perché, ammesso anche che esistesse una soluzione certa all’enigma, sarebbe comunque ininfluente ai fini di questo articolo: a prescindere dalla natura del poeta, è sempre vero e particolarmente efficace il giudizio di Dario Del Corno:
“La poesia di Omero parla come paradigma universale dell’esperienza umana”
Bisogna infatti riconoscere che l’opera costituisce una vera e propria enciclopedia della mentalità e delle conoscenze dell’epoca, sia direttamente (ad esempio quando i medici-dèi Peone e Macaone “curano” i guerrieri feriti o quando l’anziano Nestore prepara il “ciceone”-un’antica ricetta pervenutaci proprio insieme al libro XI- mescendo vino, farina d’orzo, miele e altri ingredienti), sia indirettamente (per le sue famose similitudini, Omero- o chi per egli- attinge alle conoscenze a sua disposizione su: agricoltura, allevamento, navigazione, meteorologia…).
Ciononostante, il motivo più importante per cui i poemi Omerici sono definiti paradigmatici dell’esperienza umana è un altro: le γνώμαι(“Gnomai”), letteralmente “conoscenze” (dal verbo greco “γιγνώσκω” (“Ghignosko”= conoscere).
Più propriamente si tratta di sentenze, massime e detti, non tanto frutto della saggezza individuale del poeta-vate, piuttosto queste parole, pronunciate dalle bocche dei singoli personaggi alla luce delle loro esperienze, racchiudono valori condivisi dalla comunità, opinioni dettate dal buonsenso, riflessioni generali sulla comune natura umana (e qui la cosa si fa più interessante…): se per le prime due categorie possiamo citare dei facili esempi dal testo stesso, per il terzo punto dovremmo entrare più nello specifico.
Valori condivisi dalla Comunità: uno dei concetti intorno ai quali ruota l’intera mentalità greca è quello di “ὕβϱις” (tracotanza), cioè la volontà dell’uomo di trasgredire e trascendere i limiti della propria natura, andando contro dèi, garanti di una volontà superiore, meritando perciò punizioni esemplari. La cultura greca è piena figure mitologiche e leggendarie a riguardo (i Titani, Icaro che volle volare -con tutti i significati allegorici connessi a questa parola- troppo in alto, Prometeo che rubò il fuoco agli dèi per darlo agli uomini) ma il personaggio meglio tratteggiato è proprio nell’Iliade, più precisamente a cavallo dei libri V e VI: si tratta dell’eroe Diomede, uno dei campioni Achei, il cui epiteto è “forte nel grido di guerra”. Diomede, infatti, durante lo scontro con i Troiani aveva ferito e sconfitto Enea; la madre di quest’ultimo, la dea Afrodite, era si era precipitata a soccorrere il figlio ma l’eroe acheo, non pago della vittoria conseguita, aveva rivolto le armi contro la stessa Afrodite, ferendola alla mano e perciò meritando la furibonda ammonizione del dio Apollo, schierato dalla parte dei Troiani:”Bada, figlio di Tideo, e sta’ indietro, e degli dèi non osare metterti al pari, chè non è certo uguale la stirpe degli dèi immortali e quella degli uomini che arrancano a terra” (vv.440-443). Successivamente sarà lo stesso “figlio di Tideo”, sfidando a duello Glauco (questo dettaglio ci servirà a breve) a dimostrare di aver appreso la lezione:”Chi sei tu, arditisssimo guerriero tra gli uomini mortali?… Se invece sei uno degli immortali disceso dal cielo, io con gli dèi celesti non vorrei più combattere affatto!” vv.123-129 libro V).
Opinioni dettate dal senso comune: si tratta di sentenze tanto sensate quanto ovvie, come i consigli che nel IV libro Nestore rivolge ai propri soldati (vv.303-309):”Chi, sceso dal suo carro, dia l’assalto ad un altro carro, si faccia avanti con la lancia, chè è molto meglio così” o come la frase che denota l’ovvia importanza del medico sul campo di battaglia (libro XI v.514):”Un uomo che è medico vale quanto molti altri uomini”. Queste citazioni si diffusero e finirono per diventare un substrato comune nella cultura generale greca, a tal punto che quest’ultimo verso viene citato da Platone nel Simposio, come adulatoria formula di saluto riferita da Alcibiade ad Erissimaco che era, appunto, un medico.
Riflessioni sulla natura umana: queste massime costituiscono l’intramontabile preziosità dei testi omerici. Si tratta di perle disseminate sapientemente da un misterioso burattinaio, un abile artefice di un disegno narrativo più grande… ma allo stesso tempo sono la più pura e distillata espressione di un sentire comune a tutti gli uomini, carico di una sapienza tale da trascendere il testo.
Il lettore resta stupito anche dal fatto che il compito di comunicare questa saggezza sia affidato ai singoli personaggi, che sembrano perdere tutte le loro fragilità, tutta la loro umanità, nell’atto di trascendere la precisa circostanza narrativa, alla conquista di una validità universale per le loro parole.
-Una visione Pessimistica
La visione che tutte queste riflessioni forniscono sulla natura umana prende il nome di Pessimismo Arcaico.
Questa corrente letteraria e filosofica pone disincantatamente l’uomo di fronte ai limiti della sua stessa condizione, davanti alla sua natura finita e all’impossibilità di opporsi a forze infinitamente più grandi dell’uomo stesso, che appare come uno schiavo della necessità, in balìa di una criptica volontà superiore che lo schiaccia tra i meccanismi dell’Universo: l’inevitabilità della vecchiaia, l’ineluttabilità della morte, la fugacità del tempo sono i punti attraverso i quali si articola questo sentire.
Cerchiamo di capire meglio…
Iliade, IV Libro: Nella polverosa piana antistante Ilio Agamennone ha schierato il suo esercito, Odisseo prende posto in fondo, lontano dalla mischia, con i suoi uomini. Nestore, l’anziano re di Pilo, alleato di Agamennone, nonostante la sua veneranda età, si è schierato in prima linea e, essendo troppo vecchio per la battaglia, si rende utile come può: quando il sovrano di Micene passa in rassegna quella porzione della schiera, lo trova intento ad incitare e consigliare i soldati, attingendo alla sua esperienza ed alle imprese compiute da giovane.
Agamennone non può fare a meno di lodarlo e compatirlo al tempo stesso:
“Così il vecchio li esortava, esperto com’era di guerra.
E a vederlo, esultava di gioia il potente Agamennone
e gli rivolgeva parole alate:
“Vecchio, magari fossero come il tuo animo in petto
anche le tue ginocchia, magari fosse intatta la tua forza!
Ma ti pesa ora la vecchiaia inesorabile. Ah, magari
l’avesse qualcun altro la tua età e tu invece fossi tra i giovani!”
(vv.310-320) Nel mostrare rispetto e compassione, Agamennone afferma chiaramente l’impossibilità per l’uomo di sottrarsi al destino comune di invecchiamento e, successivamente, morte.
La risposta di Nestore mette in luce tutta la rassegnazione di fronte ad una condizione triste ma necessaria ed inevitabile:
“E a lui rispondeva allora Nestore Gerenio, condottiero di carri:
“Atride, anch’io vorrei davvero essere
come nei giorni in cui uccisi il divino Ereutalione.
Ma gli dèi non concessero tutti i beni insieme agli uomini.”
Il tema della divinità (o volontà superiore) restìa a concedere il bene all’uomo verrà esposta meglio da Achille a Priamo nell’ultimo libro:
“Due vasi son piantati sulla soglia di Zeus,
dei doni che dà, dei cattivi uno e l’altro dei buoni.
A chi mescolando ne dia Zeus che getta le folgori,
incontra a volte un male e altre volte un bene;
ma a chi dà solo dei tristi, lo fa disprezzato,
e una fame tremenda lo insegue per la terra divina,
va errando senza amore né dagli dei né dagli uomini.”
Questa prospettiva esistenziale, secondo la quale l’uomo può aspirare tutt’al più a qualche raro bene tra tanti mali influenzò molto il Pessimismo di Leopardi, che ripropose la leggenda dei due vasi di Zeus nel componimento “Ultimo canto di Saffo”.
Libro VIII: Gli Achei, temporaneamente sconfitti, si ritirano rocambolescamente, tutti tranne Nestore. L’anziano re, facile bersaglio, è rimasto bloccato: Paride ha ucciso uno dei suoi cavalli con una freccia. Diomede chiede aiuto ad Odisseo per salvare Nestore, ma egli “non lo sente” nella foga della ritirata e se la svigna ancora una volta. Ciononostante, Diomede soccorre l’anziano Nestore da solo ed è proprio in questo momento che le parole dell’eroe Acheo trascendono la causa contingente e reale del problema (l’uccisione di uno dei cavalli) per arrivare ad esprimere un’allegorica e pessimistica analisi sulla vecchiaia:
“Vecchio, giovani guerrieri ti attaccano con vigore.
La tua forza è venuta meno, ti è compagna la gravosa vecchiaia,
hai uno scudiero stanco e cavalli lenti.
Monta sul mio cocchio! Così vedrai che destrieri ho:
sono quelli di Troo. Sanno inseguire rapidamente
per la pianura e battere rapidi in ritirata”
In questo passo la concezione della vecchiaia traspare in tutta la sua tragicità: come una maledizione o un contagio, si trasmette da Nestore a chi lo circonda: persino il servo ed i cavalli sembrano oppressi al suoi stesso modo dal peso della vecchiaia.
Spicca inoltre l’aspetto “umiliante” dell’età avanzata, il non essere sufficienti a se stessi: per la mentalità eroica dei campioni Achei doveva essere sicuramente mortificante l’aver bisogno di essere tratti in salvo da qualcun altro, specialmente se più giovane.
-L’Uomo-foglia- Il successo di un topos letterario
Libro VI: si tratta di uno dei passi più famosi del poema, nonché uno dei più alti traguardi della produzione poetica umana.
La scena inizia con l’incontro di Diomede e Glauco, sul campo di battaglia, quasi non la si riconosce da uno dei tanti altri episodi di violenza su violenza – e forse sta proprio in questo la grandezza del testo omerico- ma poi, come dal nulla, questo personaggio, che appare in quel momento al lettore per la prima volta, si presenta come portatore di una scintilla, di un frammento di Sapere destinato a cristallizzarsi per sempre, ad essere letto, riletto, ad entrare nelle menti dei poetisuccessivi (Mimnermo, Shakespeare, Ungaretti…) a tal punto da essere citato anche inconsapevolmente da questi ultimi, costretti ad ammettere l’insuperabilità di una similitudine che potrà solo essere riproposta nei secoli, accompagnando il cammino umano ed illuminandolo con la luce di una maggiore consapevolezza.
-Un duello unico:
Diomede vaga per il campo in cerca di un degno rivale: nessuno gli si oppone… nessuno tranne un misterioso avversario. Il guerriero Acheo, che aveva imparato la lezione di Apollo, vuole sincerarsi che il nemico non sia una divinità e che sia alla sua altezza (un retaggio militare che sarebbe continuato addirittura nelle battaglie del Medioevo, nei tornei del Rinascimento, nelle convenzioni di guerra del ‘600, ‘700, ‘800 che sancivano per i soldati l’inviolabilità degli ufficiali nemici e l’impossibilità di sfidare a duello un contendente di grado superiore rispetto allo sifdante).
«Come è la stirpe delle foglie, così quella degli uomini.
Le foglie alcune il vento le riversa per terra, e altre la selva
fiorendo ne genera, quando torna la primavera;
così le stirpi degli uomini, l’una sboccia e l’altra sfiorisce»
Le parole di Glauco non hanno bisogno di commenti, non hanno bisogno di parafrasi o contestualizzazioni, motivo per cui incarnano l’eterna attualità di un testo senza tempo, cronologicamente così distante ma emotivamente così vicino.
Il paragone tra la caducità delle foglie e l’effimera esistenza umana, insieme al Pessimismo Arcaico, costituisce un motivo che verrà riproposto in larga scala dai poeti successivi, i protagonisti della prossima puntata: i lirici Arcaici.
“Siamo istanti passati
dell’Eternità
Moscerini calati
Nell’Immensità”
AMDS