Dal Pessimismo all’Ottimismo – Parte III

Dal Pessimismo all’Ottimismo- Parte III

I Lirici Arcaici – Mimnermo

“Non vi è uomo alcuno a cui Zeus non abbia dato molti mali”

«Al modo delle foglie che nel tempo
fiorito della primavera nascono
e ai raggi del sole rapide crescono,
noi simili a quelle per un attimo
abbiamo diletto del fiore dell’età,
ignorando il bene e il male per dono dei Celesti.
Ma le nere dèe ci stanno a fianco,
l’una con il segno della grave vecchiaia
e l’altra della morte. Fulmineo
precipita il frutto di giovinezza,
come la luce d’un giorno sulla terra.
E quando il suo tempo è dileguato
è meglio la morte che la vita.»

Lo scorso articolo si era concluso con l’allegoria uomo-foglia nel discorso di Diomede e Glauco (Iliade libro VI) di Omero; lo stesso confronto fu ripreso da un poeta successivo: Mimnermo.

Mimnermo nacque a Colofone (colonia greca sulle coste della Turchia) tra il IIV e IV secolo a. C..

I temi della sua poetica sono l’amore (“i dolcissimi doni di Afrodite d’oro”),  la giovinezza e la fugacità del tempo.

In quest’ottica Mimnermo esalta la bellezza degli anni giovanili, ma allo stesso tempo valuta in chiave profondamente pessimistica la natura umana: dopo una breve e fugace giovinezza sopraggiunge inevitabilmente quella che il poeta chiama “dolorosa vecchiaia”, o “difficile, odiosa, vecchiaia” (seguita dalla morte) che deturpano l’uomo nell’aspetto e nello spirito.

Non a caso Mimnermo scrive:

“Quale vita, quale gioia senza Afrodite dorata? Possa morire, quando non avrò più queste cose nel cuore, l’amore nascosto e i doni di miele e il letto, che sono i fiori della giovinezza, desiderabili per gli uomini e le donne; quando la vecchia giunge dolorosa, che rende l’uomo bello simile al brutto, sempre gli tormenta il cuore tristi pensieri, ne più si rallegra guardando i raggi del sole, ma a tutti è odioso, dalle donne disprezzato; un dio così rende la vecchiaia difficile.”

Il paragone con le foglie resta una costante nella letteratura mondiale, non a caso vi faranno ricorso autori di epoche e contesti differenti, da Ungaretti, in “Soldati”:

“Si sta come

d’autunno

sugli alberi

le foglie”

a Shakespeare, nel sonetto “Shall I compare thee to a summer day?”, in cui il poeta pensa di paragonare il destinatario del sonetto alla bellezza della natura floreale estiva, connotata dalla fugacità, a differenza della sua poesia eternatrice:

“Dovrei paragonarti a un giorno d’Estate? Tu sei più amabile e più tranquillo.
Impetuosi venti scuotono le tenere gemme di Maggio,
E il corso dell’estate ha fin troppo presto una fine.
Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo,
E spesso la sua pelle dorata s’oscura;
Ed ogni cosa bella la bellezza talora declina,
spogliata per caso o per il mutevole corso della natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà svanire,
Né perder la bellezza che possiedi,
Né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua ombra,
Quando in eterni versi nel tempo tu crescerai:

Finché uomini respireranno o occhi potran vedere,

Queste parole vivranno, e daranno vita a te.”

Nel prossimo articolo parleremo di un altro componimento di Mimnermo e del Mito di Titono, che ci permetterà di collegarci alla più famosa dei lirici arcaici: Saffo.

Spero che, almeno finora, questa rubrica sia di vostro interesse.

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