Dal comunismo di guerra ai piani quinquennali di Stalin

(Stalin e Lenin nel 1919)

Appena finita la guerra civile e avendo quindi ottenuto il potere i  bolscevichi si trovarono di fronte alla spinosa questione della politica economica da adottare per la nascente Unione Sovietica. Fino a quel momento ci si affidava al cosiddetto “comunismo di guerra”, pratica adottata dalla Russia post rivoluzionaria durante il conflitto tra bolscevichi rossi e quelli bianchi, ma la futura struttura sovietica doveva essere riorganizzata e per questo Lenin ideò la NEP (Nuova Politica Economica) nel 1921; anche quest’ultima, però, verrà sostituita a sua volta dai “piani quinquennali” di Stalin nel 1928.

Tutti questi provvedimenti socioeconomici furono vitali per la neonata Unione Sovietica, ma essendo tutte e tre dovute alla situazione interna e non così strettamente collegate, hanno bisogno di un’ulteriore spiegazione.

Il comunismo di guerra

Il 6 Novembre 1917 si ebbe il pieno compimento della “Rivoluzione d’Ottobre” nella quale i bolscevichi ottennero il potere a discapito dell’appena nata Repubblica Russa, creazione di coloro che avevano rovesciato il regime zarista, con la conseguente distruzione del Governo provvisorio creato ad hoc dai repubblicani per amministrarla. La Rivoluzione ebbe contrapposti i bolscevichi capeggiati da Vladimir Lenin, Lev Trockij ed un giovane Iosif Stalin e i repubblicani di Aleksandr Kerenskij e vide vincitori i primi tre mentre Kerenskij venne esiliato.

Con i bolscevichi al potere si ebbero, però, dei dissidi interni poichè i “rossi” volevano trasformare il sistema russo in uno di stampo comunista mentre i “bianchi” erano dichiaratamente anticomunisti, democratici e riformisti: iniziò così la guerra civile (1917-1922). L’esercito bolscevico rosso, ovvero l’Armata Rossa ideata da Trockij, sbaragliò completamente le forze “bianche” e sancì la vittoria dei comunisti nonostante l”esercito avversario fosse sostenuto anche da forze straniere quali Stati Uniti, Regno Unito e Francia, queste ultime timorose del comunismo come ideologia e come sistema economico.

Il sistema economico adottato dalla Russia in questo periodo fu il comunismo di guerra ovvero una serie di provvedimenti statali di tipo economico-sociale per far fronte al “clima di guerra” presente in quel momento. Le caratteristiche di questo “sistema” furono le seguenti: nazionalizzazione forzata delle industrie con nessuna possibilità di sciopero, controllo statale totale sul commercio estero, controllo militare delle ferrovie, razionamento dei prodotti e dei cibi e la richiesta forzata di un surplus agricolo che sarebbe stato devoluto alla popolazione rimanente (Prodrazvyortska).

La locuzione comunismo di guerra fu coniata successivamente dai posteri con tono quasi esclusivamente dispregiativo in una propaganda anticomunista, non durò molto e venne sostituito da Lenin nel 1921 dalla NEP.

La Nuova Politica Economica di Lenin

Finita la guerra non c’era più bisogno del comunismo di guerra e di tutti i suoi pregi e difetti e quindi Vladimir Lenin nel X Congresso del Partito Comunista bolscevico presentò la NEP (Nuova Politica Economica), un sistema ad economia mista caratterizzato dalla presenza di un libero mercato per le piccole-medie imprese e di una complessa e forte componente dirigenziale che comandava tutti gli aspetti del Paese strettamente nazionalizzati.

Le novità introdotte dalla NEP furono molteplici: venne reintrodotto l’uso del denaro e una serie di riforme contro l’analfabetismo, venne istituita una legge apposita che prevedeva il diritto di autodecisione per ogni nazionalità in Unione Sovietica e lo Stato “denazionalizzò” buona parte delle imprese e dei territori agricoli pur mantenendo il monopolio delle banche e del commercio estero.

Tale rinnovamento fu essenzialmente malvisto dai bolscevichi più conservatori, tra cui Stalin e venne aspramente e apertamente criticato per essere un sistema quantomai filo-occidentale e in contrasto con il socialismo: sta di fatto che la NEP generò una buona ripresa dell’economia russa e durò fino al 1929.

I piani quinquennali di Stalin

Salito al potere Stalin decise di prendere personalmente le redini del Partito Comunista Sovietico e adottò, di conseguenza, una serie di riforme per trasformare l’Unione in una superpotenza di stampo comunista in netto contrasto con le democrazie europee e gli Stati Uniti.

Partendo da ciò creò e fece adottare allo Stato sovietico i “piani quinquennali” vale a dire una serie di provvedimenti atti a trasformare l’economia sovietica in una pianificata e centralizzata: precisamente il singolo piano quinquennale stabiliva gli obbiettivi da perseguire per i cinque anni successivi  e in particolar modo la quantità di beni prodotti da ciascun settore industriale dello Stato.

Lo sterminio dei kulaki

Per il mantenimento di questi piani Stalin avrebbe dovuto riformare e cancellare la NEP ed iniziò proprio da quel settore che aveva favorito la ripresa dell’economia russa e dai suoi fautori ovvero dall’agricoltura (e dai kulaki, cioè i piccoli-medi proprietari terrieri). Stalin decretò che i kulaki erano a tutti gli effetti nemici dello stato essendo proprietari terrieri non dipendenti da esso e iniziò un periodo di rastrellamento delle campagne per trovarli e mandarli nei gulag, anche se tutt’oggi si dice che vennero sterminati dalla carestia che provocò arbitrariamente Stalin nel 1932-1933 (questa teoria è avversata da molti Stati occidentali che non riconoscono lo sterminio dei kulaki come genocidio).

Le terre appena espropriate ai kulaki divennero sovchoz kolchoz: i sovchoz furono vere e proprie aziende sovietiche statali nelle quali venivano sperimentate nuove tecniche agricole all’avanguardia mentre i kolchzoz rappresentavano cooperative formate da contadini che lavoravano la terra di demanio statale con mezzi propri, ma i quali prodotti non andavano a loro, se non per una minuscola parte, ma allo Stato.

I primi due piani quinquennali

Stalin emanò personalmente cinque piani quinquennali prima di morire e i primi due furono i più drastici per l’economia sovietica: il Primo, in particolare,  sancì l’assoluta conversione forzata di tutte le attività in industrie di tipo pesante (metallurgiche, meccaniche e siderurgiche) poichè Stalin credeva che l’economia sovietica fosse arretrata rispetto quella delle maggiori potenze dell’epoca e che questa totale conversione avrebbe accorciato il distacco tra esse e l’Unione Sovietica (1928-1932).

Il Secondo Piano Quinquennale (1933-1937) venne varato dallo Stato sovietico nonostante ci fossero alcuni problemi con il Primo, ma grazie ad esso l’URSS vide aumentare notevolmente la produzione dell’acciaio rivaleggiando addirittura con la Germania che era una delle principali produttrici al mondo di questo materiale. Nonostante ciò i risultati non furono eclatanti e i risultati non si ottennero per molti altri campi così come non lo furono per quelli del cemento, dell’estrazione del petrolio e del carbone e dell’agricoltura.

Con i successivi piani non si ottennero mai, se non in minima parte, i risultati sperati e dettati dal piano stesso e quelli post Seconda Guerra Mondiale si rivelarono inadatti a causa delle ricostruzioni dovute al conflitto e all’immenso sforzo compiuto dall’URSS, che era stata la nazione più colpita da essa. Per dei buoni risultati si dovrà attendere il 1956, dopo la morte di Stalin, periodo nel quale la produzione industriale nazionale quasi raddoppiò rispetto al 1940 e vennero approvate una serie di riforme per modernizzare la struttura sovietica da parte di Nikita Cruschev.

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