Oltre il Neorealismo
Il Neorealismo, che nell’immediato dopoguerra, era stato il mezzo privilegiato per raccontare vizî e virtù degli italiani. Ad un certo punto si avvia al declino, e le maestranze, così come le forze artistico-intellettuali che prima si erano incanalate in tale movimento, si mettono alla ricerca di strade diverse da percorrere. Il filone privilegiato per raccontare e denunciare i vizî e le virtù degli italiani diventa la commedia (fino allora legata ancora al cabarettismo), che presto verrà denominata “all’italiana”. Un maestro di questo genere cinematografico è Dino Risi. Di cui in questo articolo prenderemo in esame uno dei film meglio riusciti: Una vita difficile (1961).
Una vita difficile
Va detto però che Una vita difficile si avvale anche del sostanzioso contributo dello sceneggiatore Rodolfo Sonego il quale, autore di fiducia di Alberto Sordi, gli regala forse il più bel ruolo della sua carriera. E a sua volta Sordi regala al film di Risi un’interpretazione memorabile. L’attore romano è qui chiamato ad impersonare la figura di un uomo eternamente in bilico fra vigliaccheria ed eroismo, fra pigrizia ed impegno, fra bassezza ed altezza. È – ed è evidente – il ritratto di un italiano-tipo (o perlomeno dell’italiano-tipo che il cinema nostrano prediligeva raffigurare in quegli anni), e più ancora del Sordi-tipo, che il comico aveva già avuto modo di mettere in scena in numerosi film precedenti, come ad esempio
Il vedovo (1959), dello stesso Risi (e per alcuni aspetti ancor più da vicino ricorda il Sordi de La grande guerra, 1959). Tale modello di riferimento è però qui in un certo senso estremizzato ed elevato, accentuando alcuni elementi patetici del personaggio, smussando alcuni lati più cialtroneschi, e dotandolo di alti ideali politici: ma, cosa ancor più notevole, diventa il mezzo attraverso il quale gli autori possono mostrarci vent’anni di storia italiana, con le sue speranze, i suoi successi, le sue delusioni, le sue sconfitte.
Squilibri e ingenuità in Una vita difficile
Viene spesso, negli scritti sull’argomento, posto l’accento su alcuni squilibri del film, e su alcune sue ingenuità. Intendiamoci: siamo in effetti lontani dalla resa di operazioni analoghe come ad esempio il più recente C’eravamo tanto amati (1974), di Ettore Scola. Tuttavia non per questo lo sguardo di Risi è meno intelligente: probabilmente il modo migliore per leggere il film è “a cassetti”, come dichiarò egli stesso. Una successione di episodi che, presi di per sé, mantengono una carica satirica e critica di grande potenza.
Il Referendum Costituzionale
Come non annoverare ad esempio la scena in cui i due protagonisti Silvio Magnozzi ed Elena Pavinato (Alberto Sordi e Lea Massari) per ragioni fortuite si ritrovano a cena in una casa nobiliare proprio durante l’annuncio degli esiti del referendum su monarchia e repubblica, e mentre intorno a loro gli aristocratici sono presi dalla disperazione e dal caos, essi sono gli unici a rimanere a tavola, gustando con estrema soddisfazione un bel pasticcio, mentre risuonano le note dell’inno della Repubblica.
Scarpe rotte
O, da un punto di vista più intimistico, la scena in cui Silvio, ubriaco, tenta di riconquistare la moglie promettendole che le avrebbe dato “tutto quello che vuole” (peccato però che un’inquadratura ci riveli come abbia le scarpe rotte). E dopo una zuffa con il nuovo compagno della moglie, un rappresentante del nuovo ceto benestante che si andava formando proprio in quegli anni del “boom”, si mette a sputare alle automobili di passaggio, simbolo del progresso (si veda a tal proposito anche il capolavoro di Risi Il sorpasso, 1962) e di quello che il Magnozzi sente come un tradimento dei valori resistenziali.
Il finale
Memorabile anche il finale: persino Magnozzi è costretto a piegarsi alla nuova realtà, e accetta di lavorare per quello stesso imprenditore la cui offerta aveva rifiutato sdegnosamente subito dopo la guerra. Durante una festa, Elena ha modo di vedere come il marito debba sopportare continue angherie dal proprio datore di lavoro, mettendo continuamente da parte i suoi valori e la sua dignità. Dopo l’ennesima umiliazione pubblica, e dopo uno sguardo della moglie Elena, il Magnozzi prende le misure e assesta un sonoro ceffone al commendatore facendolo finire in piscina (altro simbolo del “boom”): Alberto Sordi e Lea Massari escono trionfalmente dalla villa, rifiutando l’automobile (ancora un simbolo) e affermando di voler “fare due passi”.
Critiche ingenue
La sequenza è stata oggetto di ripetute critiche in quanto, come già accennato, molti la trovarono troppo ingenua e liberatoria. In realtà essa è la degna conclusione di una pellicola che si regge su quello che è il “vitalismo” del regista (come lo ha chiamato Risi stesso), e che pur presentando un’acuta analisi della storia italiana recente e contemporanea, non ha certo ambizioni di realismo. Si può insomma perdonare a Risi di aver voluto regalare questa soddisfazione al pubblico, in quanto preferirà un finale assai meno ottimista nel di poco successivo Il sorpasso