Nell’ampia gamma di opere letterarie, alcune pongono al centro della propria tematica l’analisi psicologica dei protagonisti. Sebbene i personaggi sembrino affrontare problematiche uniche delle loro epoche, molte delle loro condizioni si riflettono anche nella società moderna. Questo è il caso del bovarismo. Come può un fenomeno, nato quasi 170 anni fa in un contesto culturale differente, essere collegato al nostro?
Il bovarismo è un termine coniato non dall’autore di Madame Bovary, Gustave Flaubert, ma dallo scrittore Jules de Gaultier, che gli ha dedicato diverse opere, tra cui Le Bovarysme, la psychologie dans l’œuvre de Flaubert (1892), Le Bovarysme: essai sur le pouvoir d’imaginer (1902) e Le Génie de Flaubert (1913). Con questo termine si evidenzia il desiderio di vivere una vita più ricca ed eccitante, come fuga dalla monotonia della quotidianità.
Nel corso dell’articolo, esploreremo nel dettaglio le vicende di Emma Bovary analizzando come i suoi dilemmi continuino a influenzare il nostro tempo.
Prima di approfondire la condizione psicologica di Emma Bovary, è utile fare un breve excursus sul romanzo da cui è tratta: Madame Bovary. Pubblicata nel 1857, l’opera di Gustave Flaubert è riconosciuta come un emblema del realismo letterario.
Il romanzo narra la storia di Emma Bovary, dalla sua infanzia trascorsa in un collegio cattolico, dove si distingue per la sua passione nel memorizzare poesie e canti, fino alla sua tragica morte. Fin da giovane, Emma si immerge nella lettura di romanzi romantici e, proprio come Don Chisciotte, finisce per vivere in un mondo di sogni ispirati da quelle storie, desiderando ardentemente una vita come quella delle protagoniste di cui legge. Cresce con un ideale di amore passionale e aristocratico, associando il lusso, la ricchezza e l’eleganza a una vita piena di significato e bellezza. È convinta che il suo destino sia quello di sposare un uomo ricco che possa introdurla nella mondanità, allontanandola dalla noiosa routine provinciale. Tuttavia, la sua aspettativa si infrange quando incontra Charles Bovary, un modesto medico di campagna, privo di ambizione e incapace di comprendere i suoi desideri romantici. Emma, insoddisfatta, si lancia in relazioni extraconiugali nella speranza di trovare un appagamento, ma anche queste si rivelano fallimentari. Schiacciata dalla disperazione, dai debiti e dalla depressione, Emma decide di porre fine alla sua vita ingerendo arsenico, lasciando dietro di sé Charles e la loro figlia Berthe.
Emma tenta più volte di prendere in mano la sua vita e realizzare i suoi sogni. Un esempio significativo è il ballo al castello di Vaubyessard, a cui partecipa con il marito. Per lei, quell’evento rappresenta l’opportunità di entrare nel mondo aristocratico che ha sempre sognato. Le persone presenti le sembrano perfette, felici e spensierate, ma Flaubert ci mostra come questa realtà sia solo un’illusione: sotto la superficie scintillante si nasconde una falsità intrinseca che Emma, accecata dal desiderio, non riesce a cogliere. Durante il ballo, si sente parte di quel mondo, quasi come una delle protagoniste dei suoi amati romanzi, dimenticando per un attimo la grigia realtà della sua vita provinciale. Ma quando la serata finisce, la bolla si dissolve: Emma si sente ancora più vuota e insoddisfatta. Dopo aver assaporato per un istante ciò che credeva essere la felicità, si rende conto che non riuscirà mai a vivere la vita che ha sempre desiderato. Questo episodio segna l’apice delle sue illusioni.
Flaubert ci mostra anche l’insoddisfazione di Emma sul piano familiare. Quando scopre di essere incinta, la sua reazione è tutt’altro che gioiosa: appare frustrata e intrappolata. Per lei, la maternità non è una fonte di realizzazione, come lo è invece per Charles, ma piuttosto un’ulteriore conferma della sua prigionia nella monotonia borghese, un ostacolo alla realizzazione dei suoi sogni. Prova a trovare conforto immaginando che un figlio possa colmare tra le sue braccia il vuoto della sua esistenza, ma questa speranza si infrange quando scopre che avrà una bambina. Nella sua visione, un figlio maschio avrebbe potuto vivere le avventure che lei non ha mai avuto, mentre una figlia femmina è destinata a essere trattata come una bambola, in un ruolo imposto dalla società.
Questa riflessione ci offre l’opportunità di fare un confronto con la società moderna. Spesso, la realizzazione di una donna è ancora associata al ruolo di moglie e madre. Si dà per scontato che una gravidanza debba essere accolta con gioia, senza considerare i veri desideri e le possibili limitazioni che comporta. Sebbene la società odierna abbia fatto progressi in termini di uguaglianza di genere, molte donne si trovano ancora a dover affrontare aspettative contraddittorie: da un lato la carriera e la realizzazione personale, dall’altro il ruolo tradizionale di moglie e madre. Le pressioni sociali e le strutture patriarcali continuano a rappresentare ostacoli che, come nel caso di Emma, possono generare frustrazione e un senso di fallimento.Inoltre, il pensiero di Emma riguardo al genere del figlio non è poi così lontano dal nostro tempo: basti pensare alle disparità di genere che ancora esistono in termini di salari e opportunità lavorative e sociali.
Oggi viviamo in una società che ci spinge a realizzarci rapidamente per sentirci parte del mondo adulto e integrati nella macchina sociale. Siamo in competizione continua, l’uno contro l’altro, in una corsa verso il successo che spesso ci porta a chiederci: una volta raggiunti i nostri obiettivi, rispecchiano davvero le nostre aspettative? Sui social vediamo continuamente persone che sembrano vivere vite perfette, quasi da romanzo, ma dimentichiamo che ciò che ci viene mostrato è solo un’illusione, una rappresentazione idealizzata della realtà. Vale davvero la pena rincorrere un sogno che, una volta raggiunto, potrebbe rivelarsi del tutto illusorio?
Possiamo vedere come Madame Bovary sia ossessionata dall’apparenza e dal lusso, arrivando a indebitarsi pur di acquistare tutto ciò che possa farla sentire parte di un’élite alla quale non appartiene e non apparterrà mai. Questa sensazione di realizzazione tramite il possesso di beni materiali è estremamente attuale, vivendo nell’era del consumismo sfrenato e del materialismo. Siamo spesso giudicati in base a ciò che possediamo: dagli immobili all’abbigliamento fino ai dispositivi elettronici. Come accennato, i social media mostrano vite apparentemente perfette, e spesso le consideriamo tali perché vediamo persone che viaggiano in luoghi esotici, comprano l’ultimo modello di iPhone o vantano un reddito invidiabile.
Facendo un passo indietro al 1857, potremmo dire che Madame Bovary soffrirebbe oggi di FOMO (Fear Of Missing Out), ovvero una forma di ansia sociale generata dalla paura di essere esclusi da eventi sociali e/o esperienze significative. Questo fenomeno, strettamente legato ai post sui social media, influenza soprattutto gli adolescenti, che aspirano a essere popolari tra i loro coetanei. Pensiamo ai trend di TikTok: il feed si riempie di contenuti dove la maggior parte dei creator vuole essere al passo con la moda e ottenere più seguito possibile. Non partecipare a un fenomeno virale significa letteralmente “essere tagliati fuori”, che è la definizione perfetta di FOMO.
Vi è mai capitato di sentirvi soli in mezzo a un gruppo di persone? La risposta è probabilmente sì, ma non scoraggiatevi: anche la nostra Emma Bovary si è sentita così. Nonostante il marito, la figlia, gli amanti e i conoscenti, non si è mai sentita veramente parte della società, rimarcando il divario tra i suoi sogni e la realtà. Oggi, alienazione e solitudine sono molto diffuse, nonostante la globalizzazione ci connetta al mondo intero con un semplice click. Le relazioni autentiche sono rare, lasciandoci spesso con un senso di insoddisfazione e isolamento, difficile da accettare. Fin troppo spesso, ci accontentiamo di interazioni scomode o addirittura tossiche solo per la paura di mettere fine a tutto e rimanere soli.
In conclusione, Emma Bovary si è lasciata andare a una profonda crisi interiore, abbandonando completamente il proprio benessere mentale. Oggi, però, la soluzione è più accessibile e comune: intraprendere un percorso con un professionista. Rivolgersi a uno psicologo non è mai sinonimo di debolezza, ma piuttosto di forza, poiché implica il coraggio di mettersi in discussione e affrontare i propri malesseri. Un professionista è qualificato per aiutarci a riconoscere le nostre emozioni, gestire le pressioni della società e trovare un equilibrio tra sogno e realtà. Inoltre, la presenza di una persona empatica e attenta ai nostri bisogni può farci sentire meno soli, offrendoci uno spazio sicuro e dedicato al nostro benessere.
È incoraggiante notare come sempre più persone sui social stiano iniziando a condividere anche le difficoltà quotidiane, che vanno da una semplice “giornata no” a testimonianze di straordinaria forza nell’affrontare malattie o sfide personali. Questo contribuisce a creare una realtà meno idealizzata e più autentica, in cui la vulnerabilità è accettata come parte della vita di tutti. Si genera così una catena di solidarietà, di cui persino Leopardi sarebbe fiero, dove chiunque può esprimere le proprie fragilità e trovare supporto, sapendo che nella maggior parte dei casi riceverà comprensione e conforto.