Attenzione, non è una cosa seria: sono solo fumetti

Sono particolarmente lieto che il benemerito sito www.culturainrete.it mi abbia offerto la possibilità di trattare di Fumetti. E ce ne sarebbero, di cose da trattare. Cose che la maggior parte dei mezzi d’informazione e istituzioni culturali di questo paese sembra ignorare, o per becero complesso di superiorità nei confronti della Nona Arte (come viene chiamata – ed è di fatto una forma d’arte), o per spudorata malafede.

Come chiamarlo?

Dunque cercherò (io e coloro che vorranno affiancarmi in questa mission) di mettere, nel mio piccolo, una toppa a questo disinteresse generale. Prima di partire con il primo albo di cui vorrei parlarvi però, permettetemi questo articolo a mo’ di preambolo. La categoria che verrà inaugurata da questo articolo si chiamerà “Fumetto”, termine usato in italiano per designare questo medium: termine che trae origine dalle nuvolette (di “fumo”, appunto) che escono dalla bocca dei personaggi e che contengono i dialoghi (quelle che oggi chiamiamo balloon). In Inglese invece i fumetti vengono designati con il nome di Comics, poiché i primi erano di stampo prettamente umoristico. In Spagnolo Historietas, ovvero “storielle”, “storie di scarso valore”, con l’evidente sottinteso “buone per i bambini, o tutt’al più per gli incolti”. Come si può evincere da questa breve carrellata, sono vocaboli tutt’altro che lusinghieri, specchio di un diffuso quanto sprezzante atteggiamento verso il Fumetto.

Fumetto e Mass Media

Non è mio costume lanciarmi in crociate ideologiche, che spesso assomigliano alla tifoseria da stadio più che all’opera di serî studiosi (quale mi considero forse immodestamente, sebbene alle prime armi). E va quindi detto che, in origine, tutto ciò era – se non giustificabile – comprensibile, alla luce del clima culturale dell’epoca. Non solo il Fumetto, ma anche il Cinema, la Narrativa Popolare o Di Genere, la Musica Leggera, e altri media che oggi faremmo rientrare nella categoria di mass media, erano oggetto del medesimo ostracismo. Questo è un atteggiamento molto comune in diversi ambiti dell’attività umana, e in diverse epoche storiche: basti pensare allo scetticismo di Socrate verso la Scrittura stessa.

 

Il Fumetto come Linguaggio

Andrebbe invece riconosciuta al Fumetto la dignità di Linguaggio a sé stante, e non una specie di sottoprodotto della Letteratura per l’Infanzia. Il Fumetto ha una propria Semantica e un proprio Codice, tutt’altro che banali. La Lettura sequenziale delle immagini, separate dal cosiddetto Spazio Bianco (paragonabile ma diverso da quello che separa e circonda i versi di una Poesia), mette in gioco competenze di decodificazione piuttosto complesse, che ovviamente possono variare, a seconda che si stia leggendo un fumetto della Pimpa, o di Guido Crepax.

E l’unione di immagini e scrittura (incarnata dalle didascalie e dai balloon), è qualcosa di strutturalmente ancor più complesso, in quanto unisce due linguaggi diversi, e forse è l’unico medium attualmente conosciuto a farlo in maniera così indissolubile. Perché certo, possono esistere fumetti interamente privi di scrittura, come fumetti con sovrabbondanza di linguaggio scritto rispetto alle immagini: ma si tratterebbe in entrambi i casi di eccezioni alla regola. Per non parlare poi del rapporto tra Sceneggiatura e Prodotto finito, discorso analogo a quello che si fa nel Cinema (e a tal proposito Pasolini parlava di “struttura che vuol essere altra struttura”).

 

Subalternità del Fumetto

In effetti, Fumetto e Cinema per qualche tempo sono andati a braccetto, nella loro ghettizzazione. Ad un certo punto però, il Cinema si è emancipato da tale condizione, grazie al riconoscimento, da parte di alcune istituzioni e di alcuni intellettuali, dell’alto valore di questa forma d’espressione artistica. Così Università, Accademie, Editoria, Politica, ecc., hanno accolto, serbando tuttavia ancora oggi un occhio sospettoso, il Cinema al loro interno.

Il Fumetto, invece, si vede a tutt’oggi relegato nella propria posizione di subalternità culturale ed espressiva, e si vede negata una dignità che invece ha ampiamente acquisito sul campo per riconosciuti meriti. Trovo personalmente vergognoso e desolante, che nell’ambito delle nostre scuole e atenei non vi sia alcun tipo di insegnamento che tratti specificamente questa forma d’arte (che mi risulti, non esiste neanche un generico esame di Storia del Fumetto nei corsi di laurea più affini), né esista alcun riconoscimento a livello istituzionale per gli Artisti e le Opere che si distinguono nel loro ambito, lontanamente paragonabile al trattamento riservato ad altre categorie.

Volendo limitarsi all’ambito del Fumetto cosiddetto d’Autore e all’Italia, negli scorsi decennî abbiamo potuto assistere a fenomeni come il già citato Guido Crepax, Hugo Pratt, Andrea Pazienza, o Milo Manara, giusto per citarne alcuni. Autori nulla hanno da invidiare alla Narrativa o Poesia prodotte contemporaneamente nel nostro paese. Eppure, quando si parla di loro, vengono sempre presentati come meritorie eccezioni rispetto al target, che continua ad essere percepito come composto da pubblico non abbastanza colto per leggere altro, o da bambini, o nel migliore dei casi da individui un po’ bislacchi che continuano a divertirsi con letture infantili. In tempi più recenti, con l’ascesa del Fumetto Giapponese (manga), dell’Animazione Giapponese (anime), dei Videogiochi e del Fantasy, l’opinione comune ha raggruppato in unico calderone tutti gli elementi sovraelencati, individuando tutto ciò, Fumetti compresi, come roba per disadattati o sollazzo per nerd.

Per quanto riguarda la questione del target, non credo che abbia senso confutare una certa predilezione per il pubblico infantile o adolescenziale, e in senso più largo “popolare”. Ma ciò non esclude il fatto che questo assetto produttivo sia stato capace di offrire prodotti di ottima qualità: che si tratti del Fumetto Disney (Gottfredson, Barks, Scarpa, PKNA), del Fumetto Supereroistico Americano (Marvel, DC), del Fumetto Bonelli (Tex, Martin Mystère, Dylan Dog, Nathan Never, Julia), o del Fumetto Popolare Franco-Belga (Tintin, Blake e Mortimer, Ric Roland, Lucky Luke, Asterix). E mi preme sottolineare, a margine, che realizzare prodotti destinati ai più piccoli, e farlo con qualità, può essere sotto certi aspetti anche più difficile che scrivere Letteratura per adulti: ancor più lo è scrivere storie godibili, in maniera diversa, tanto dai figli quanto dai padri e dai nonni.

 

La BéDé

Vi starete chiedendo, concludendo la lettura, perché all’inizio dell’articolo abbia tralasciato il vocabolo Francese per designare (non disegnare) i Fumetti: ovvero bande dessinée. Mi sembra l’unico termine, fra quelli presentati, che non implichi un pregiudizio verso l’oggetto che denomina. Tutt’al più, riduttivo o datato, poiché si riferisce al fatto che i fumetti inizialmente venivano serializzati in strip, strisce. E infatti, la Francia e il Belgio sono proprio i luoghi in cui il pregiudizio verso questo Mezzo si è precocemente attenuato, fin quasi a scomparire. Similmente a quanto avvenuto con il Cinema Hollywoodiano Classico (con la cosiddetta Politique des auteurs) e con la Narrativa di Genere (Simenon, per dirne uno, è stato ben presto annoverato fra i Grandi della loro Letteratura Novecentesca), gli intellettuali Francesi e Belgi hanno ben presto collocato il Fumetto fra i migliori esempi della loro creatività. Sin dalla metà del secolo, pubblicistica e studi filologici, infatti, hanno iniziato a fiorire intorno alla BéDé (come viene affettuosamente chiamata), e gli albi a fumetti hanno trovato posto nelle librerie accanto ai “libri veri” (come direbbero in molti qui in Italia).

Ed in omaggio alla grande tradizione Franco-Belga, è proprio con un fumetto appartenente a questa scuola che vogliamo inaugurare questa Categoria. Vi ringrazio dunque per la pazienza dimostrata nell’essere giunti fino in fondo questo primo articolo, di non facilissima lettura, me ne rendo conto, e vi do appuntamento al prossimo articolo per parlare de Le tre formule del Professor Sato! Stay tuned!

PS Un ultimissimo disclaimer: oggigiorno si preferisce designare il Fumetto con altri termini, come ad esempio Graphic Novel. È raro infatti che la stampa generalista, quando si occupa di qualche fumettista più in vista anche al di fuori del circuito degli appassionati, come ad esempio Zerocalcare, lo designi come “autore di Fumetti”: pudore che sottintende che essi siano qualcosa di altro e di migliore rispetto al Fumetto comunemente inteso. Noi, al contrario, rivendichiamo l’uso del termine Fumetto per questa categoria, non volendo rinnegare l’amore verso tutta la tradizione che si riconosce sotto questo nome, Alta o Bassa, Italiana o Straniera.

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