Dopo l’abdicazione, i re vittoriosi si riunirono a Vienna per riorganizzare l’Europa a loro profitto. Le proteste della borghesia francese suscitarono le speranze di Napoleone. Incapace di rassegnarsi dinanzi alla sorte, tentò un’ultima volta il destino.
Padroni della Francia, gli alleati iniziarono a dettare le loro condizioni. La pace fu conclusa a Parigi il 30 maggio. La Francia accettava in partenza le decisioni che avrebbero preso gli alleati durante il Congresso a Vienna.
Tale assemblea suscitava grandi speranze, i principi si rimpossessarono dei loro domini. Tutti dal congresso attendevano che esso stabilisse una pace duratura. L’Hannover tornò all’Inghilterra e duchi, elettori e re nelle loro capitali.
Gli italiani felici di essersi sbarazzati dei francesi, ora temevano gli austriaci. Il Congresso voleva riportare l’Europa all’ordine e sotto la guida del dispotismo illuminato. Il fulmineo ritorno dell’imperatore stava per mostrare la fragilità di codesta restaurazione.
Luigi XVIII arrivò a Calais il 24 aprile 1814. Il 2 maggio accettò la costituzione emanata poche settimane prima dal Senato. Il re esercitava il potere esecutivo per mezzo dei ministri; anche l’iniziativa delle leggi gli appartiene in esclusiva.
Una Camera dei pari ed una dei Deputati votano le imposte e le leggi. La Carta fu letta alle Camere il 4 giugno e la borghesia la accettò con soddisfazione. Escludeva la controrivoluzione e privava il popolo della sua influenza politica.
Napoleone non si rassegnò ed aveva buone ragioni per lamentarsi. Gli fu rifiutata la restituzione del figlio e la dotazione promessa. Bonaparte sapeva che si parlava a Vienna della sua deportazione a Sant’Elena ed il 26 febbraio 1815 si imbarcò per la Francia.
Il 1 marzo giunse senza ostacoli al golfo Jouan, marciò su Grenoble dove il colonnello la Bedoyere lo attendeva e gli consegnò la piazzaforte. Luigi XVIII spaventato, lasciò la Francia . Il 20 marzo Napoleone rientrò alle Tuileries.
Trovò una Francia cambiata con una vivacità che durante i 100 giorni lo sconcertò. Tuttavia, approfittò del nuovo spirito rivoluzionario e rievocò il ricordo del Comitato di Salute Pubblica e dell’armata dell’anno II della Repubblica.
Ridiventò imperatore ed offrì la pace agli alleati ma non gli giunse nessuna risposta. Sapevano bene che era l’occasione di schiacciare definitivamente la Rivoluzione, abbattendo l’uomo che la personificava.
L’Europa era pronta a scagliarsi contro di lui come una valanga: 800.000 uomini erano sul piede di guerra e tutte le risorse dell’Inghilterra a disposizione.
Napoleone in totale chiamò 700.000 uomini ma il morale nazionale era basso. Urgeva prendere l’offensiva ed il suo esercito ruppe con la tradizione. Questa volta era addestrato e più solido di quello del 1813 ma la sua inferiorità numerica pesava.
Quanto all’imperatore sembra che la sua salute e perfino la sua fiducia non fossero più quelle di un tempo. Di fronte si trovò subito le armate che avevano evacuato un anno prima la Francia.
Esse erano accantonate in Belgio, divise in due armate ed erano guidate da Wellington e Blucher. A partire dal 6 giugno, l’imperatore mise in movimento le sue truppe, da Lilla a Metz. Il 15 sboccò da Charleroi per gettarsi tra le due armate nemiche.
Blucher e Wellington spingevano per ingaggiare subito la battaglia. Il 16 giugno Napoleone si rese conto che i prussiani si trovavano a Ligny ed ordinò a Ney e Drouet di attaccare la loro destra. L’armata di Blucher fu sfondata al centro e costretta alla ritirata ma non fu distrutta.
Wellington si era ritirato verso nord, aveva preso posizione davanti alla foresta di Soignes con 67.000 uomini. Napoleone si spostò contro di lui nella giornata del 17 con 74.000 uomini, ostacolato dalla pioggia; lo attaccò il 18 giugno a Waterloo.
L’attacco frontale alle posizioni inglesi, condotto da Ney fu un disastro. Rivolto dapprima sulla destra si spostò al centro dove l’attacco si inceppò fino alle 15:30. La fanteria avanzando a colonne profonde fu mitragliata, caricata e ricacciata.
La cavalleria si precipitò sui quadrati inglesi che la respinsero. Napoleone mandò 5 battaglioni in rinforzo ma la loro marcia fu interrotta dalla Guardia inglese, ultima riserva di Wellington. A questo punto, gli inglesi passarono all’offensiva.
L’armata di Napoleone, presa dal panico fuggì in rotta e perse 30.000 uomini. Era giunta a Waterloo la fine di Napoleone. Rientrò a Parigi il 21 giugno, chiese la resistenza ma la Camera gli mostrò ostile e l’imperatore abdicò.
La commissione esecutiva ordinò di imbarcarlo ed imprigionarlo. Il 14 luglio, Luigi XVIII ordinò di consegnarlo agli inglesi, il giorno dopo Napoleone salì al bordo del Bellerophon, diretto a Sant’Elena dove gli alleati decisero di esiliarlo.
Questo tragico esilio finì di dare al suo destino quel romantico prestigio che sempre sedurrà l’immaginazione.
Con un ultimo lampo di genio dimenticò (dettando le sue memorie) tutto ciò che la sua politica aveva avuto di personale, per restare unicamente il capo della Rivoluzione armata, liberatrice dell’uomo e delle nazioni che con le sue mani aveva deposto la propria spada.
Il 5 maggio 1821, i suoi occhi si chiusero per sempre ma il suo mito continua a vivere nel cuore di molti …!